La Corte di Cassazione, attraverso la sentenza n. 44327 del 30/9/2016, torna sulla responsabilità del datore di lavoro per i danni derivati al dipendente dalla violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro.

La Suprema Corte pone il focus, in particolare, sulla messa in sicurezza dei macchinari utilizzati nel luogo di lavoro, sui vizi dei medesimi nonché sul comportamento del lavoratore, quali criteri per poter escludere (o meno) la responsabilità dell’azienda negli occorsi infortunistici.

In particolare, la presente sentenza ha il pregio dichiarire quali comportamenti del dipendente, imprevedibili e negligenti, siano idonei ad esentare da responsabilità del datore di lavoro, pertanto in quali casi ed in che misura il comportamento del lavoratore possa considerarsi “abnorme” e, come tale, condotta da sola sufficiente ad elidere il nesso eziologico fra evento lesivo infortunistico ed azione od omissione datoriale, a fronte della posizione di garanzia che l’ordinamento impone alla figura del datore di lavoro.

A causa di un infortunio sul lavoro occorso ad un lavoratore presso un cantiere edile, il titolare del cantiere e datore di lavoro veniva condannato dai giudici di merito, Tribunale di Savona e Corte d’Appello di Genova, per il delitto di lesioni personali colpose ex art. 590 c.p., per violazione degli art. 70, co. 1, art. 71, co. 1 e 4, lett. a), nn. 1 e 3 D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 73, co. 1 e art. 8, co. 1, lett. f).

In particolare, il lavoratore era impegnato, al momento del sinistro, nel taglio di alcuni tondini di ferro, impiegando a tal fine una cesoia. Pur essendosi avveduto del sollevamento dell’apposita protezione mobile della zona di taglio della macchina, la quale però, senza dispositivo di interblocco, funzionava più speditamente, l’operaio introduceva inavvertitamente il dito all’interno del meccanismo, così da subire l’amputazione della falange del primo dito della mano destra, riportando lesioni giudicate guaribili in più di 40 giorni.

La disciplina della sicurezza sul lavoro, di cui all’ormai noto a qualsiasi imprenditore commerciale D.Lgs. n. 81 del 2008, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” si compone, segnatamente, di una serie di articoli particolari che vengono in rilievo in un caso come quello di specie.

Il primo è l’art. 70, co. I, che prescrive: «Salvo quanto previsto al comma 2 (che si riferisce alle attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari e quelle messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente all’emanazione di norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto), le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto».

L’art. 71, co. I, invece, prevede che «Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui all’articolo precedente, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi, che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie».

Infine, l’art. 71, co. IV, lett. a), nn. 1 e 3, prescrive che «Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché: a) le attrezzature di lavoro siano: 1) installate ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso; (…) 3) assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza stabilite con specifico provvedimento regolamentare adottato in relazione alle prescrizioni di cui all’articolo 18, comma 1, lettera z) (secondo cui il datore di lavoro e i dirigenti che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite devono aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai cambiamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o secondo il grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione)».

Ebbene, la disciplina richiamata, letta in combinato disposto con la clausola di equivalenza di cui all’art. 40 cpv. cod. pen., affida al datore di lavoro un vero e proprio ruolo di garanzia da cui discende un dovere di protezione («Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature (…) idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi…; Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro siano: 1) installate…) e di controllo (…ed utilizzate in conformità alle istruzioni d’uso).

Da cui l’obbligo giuridico del datore di lavoro di impedire che il rischio lavorativo possa tradursi in evento lesivo.

Nel caso di specie, la manomissione da parte del lavoratore richiedeva l’intervento sulle viti e sui bulloni di fissaggio della componente di protezione, comportamento tuttavia insuscettibile di eliminare la responsabilità datoriale per l’infortunio derivante dall’attività stessa di manomissione.

La Cassazione, in ispecie, non contesta la predisposizione di uno strumento pericoloso sprovvisto di idonei dispositivi di sicurezza, bensì il fatto che il datore di lavoro, nonostante «tale dispositivo venisse in alcuni casi rimosso dai dipendenti, non agiva in modo da scongiurare il rischio che costoro potessero rimuovere detto dispositivo e, anche solo accidentalmente, posizionassero le dita in corrispondenza della zona di taglio».

La presenza del rischio di un comportamento scorretto da parte del lavoratore derivante dalle caratteristiche del macchinario comporta necessariamente determinati precetti negativi nonché un controllo specifico da parte del datore. Per tale ordine di ragioni non si è ritenuto che «il funzionamento in sicurezza dell’apparecchiatura poteva essere condizionato esclusivamente da uno specifico obbligo di attivarsi del lavoratore». Anzi, la presenza di una protezione mobile in corrispondenza della zona di taglio e la sua frequente manomissione da parte degli operai per ragioni di speditezza, rende evidente che il rischio poteva essere ridotto tempestivamente osservando la dovuta diligenza.

Per tale ordine di ragioni la Suprema Corte non ritiene possibile considerare il comportamento del lavoratore abnorme e idoneo a interrompere il nesso causale fra la condotta contestata al datore di lavoro e l’evento lesivo, essendo un dato ormai incontestabilmente acquisito che «le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, sicché la condotta imprudente dell’infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio inerente all’attività svolta dal lavoratore ed all’omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro». Con la naturale conseguenza che il nesso di condizionamento tra l’omissione datoriale e l’infortunio del lavoratore ne resta intonso.

La stessa Corte di Cassazione, poi, ha altresì indicato quando la condotta del lavoratore può definirsi “abnorme” e, come tale, idonea ad elidere il nesso di causalità tra l’omessa vigilanza del datore di lavoro e l’infortunio del lavoratore che pone in essere comportamenti imprudenti o negligenti: «quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso». Un comportamento di tal guisa è “interruttivo” del nesso condizionante «non perché “eccezionale” ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare».

In definitiva, a rilevare è il concreto utilizzo del dispositivo posto che «il datore di lavoro è responsabile delle lesioni occorse all’operaio in conseguenza dell’uso del macchinario, il quale, pur non presentando alcun difetto di costruzione o di montaggio, per come in concreto utilizzato ha comunque esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi». E a tal proposito la Suprema Corte giunge a dire che solo il vizio occulto della macchina introdotta dal datore di lavoro nella propria azienda esime lo stesso da responsabilità, posto l’obbligo a suo carico di verificare la sicurezza delle macchine ivi introdotte e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all’utilizzazione delle stesse.