La Cassazione con la nota sentenza “Scarano”, n. 1361/14 ha riconosciuto in maniera esplicita il diritto al risarcimento del “danno alla vita” ossia del danno da morte propria della vittima trasmissibile iure hereditatis agli eredi, ai quali dunque dovrà essere risarcito l’equivalente.
La decisione della Suprema Corte deriva da una grave vicenda, che non era stata correttamente valutata dal giudice del merito per quanto riguarda il danno non patrimoniale subito dagli aventi diritto (il danno alla vita dei genitori, la personalizzazione del danno esistenziale ed il danno morale).
La sentenza chiarisce come il giudice, giunto al momento dell’individuazione e della liquidazione del danno, invece che aderire a priori ad una piuttosto che ad un’altra teoria in materia di danni alla persona, ed offrire una risposta preconcetta e dunque ingiusta alla domanda rivoltagli, dovrà confrontarsi con l’intero fatto concreto che gli si pone davanti.
Cioè deve tenere conto della particolarità delle vicende da decidere e garantire il corretto ed integrale risarcimento di tutte le lesioni degli interessi delle persone di natura non prettamente economica, protetti dall’ordinamento, riconducibili al danno su cui deve giudicare. E dei quali venga comprovata nel processo l’autonomia e la distinzione non prettamente nominalistica dell’uno dagli altri.
Il Giudice inoltre, deve utilizzare nella liquidazione dei danni, parametri di equità e ragionevolezza, confrontandosi con le tabelle di liquidazione utilizzate nell’ambito degli uffici giudiziari, le quali tuttavia danno solo un parametro di valutazione standard che non può mai confiscare il potere-dovere del giudice di verificare la concretezza dei danni in relazione a ciascuna diversa vicenda.
Invero la predetta sentenza della Cassazione ha altresì confermato l’esistenza della storica triade dei danni, cioè esistenziale, morale e biologico, ma non come categoria di danni a sé, ma come aspetti descrittivi anche se di natura diversa, dell’unica categoria del danno non patrimoniale, come già avevano confermato le famose sentenze gemelle del 2008.