Durante l’esecuzione di lavori di potatura un dipendente sito su un cestello appeso al braccio di un gru su di un autocarro, manovrata dal suo datore di lavoro cadeva da sei metri d’altezza e riportava lesioni.

Secondo l’infortunato la lesione sarebbe dipesa da una manovra del braccio della gru, pertanto presentava richiesta di risarcimento danni.

Il datore resisteva in giudizio adducendo invece che la caduta era dipesa per colpa esclusiva del dipendente.

Al rigetto della domanda seguiva l’appello del lavoratore, in cui si lamentava la mancata valutazione da parte del giudice della sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti del datore ex artt. 184 e 389 dpr 547/55 e 590 cp.

La Corte d’Appello respingeva il ricorso, ritenendo che la responsabilità del datore nella causazione dell’evento non poteva basarsi unicamente sulla sentenza di patteggiamento non essendo ravvisabili presunzioni gravi precise e concordanti.

Secondo la Corte di legittimità la sentenza deve essere riformata poiché veniva negata ogni valenza probatoria al contengo del convenuto tenuto in sede penale con la richiesta di patteggiamento.

La Cassazione con ordinanza 3643 del 7/2/19 ha ribadito che ove il giudice civile non intenda attribuire alcuna efficacia probatoria alla sentenza di patteggiamento ex art 444 cp, ha dovere di spiegare perché l’imputato avrebbe ammesso una propria insussistente responsabilità ed il giudice abbia prestato fede ad una tale ammissione.

In base al principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, per lo stesso fatto possono ammettersi contrastanti e differenti decisioni giudiziali soltanto in presenza di valide giustificazioni, debitamente argomentate assicurata da norme di rango costituzionale e processuale.

Infatti la sentenza di patteggiamento non solo prevede il consenso delle parti ma anche l’assenza di elementi che possano portare ad una pronuncia di proscioglimento ex art 129 cpp.