La Cassazione penale sez. II, con sentenza n. 26323 del 18/6/14 ha statuito che se un indagato confessa il reato commesso al proprio difensore, l’intercettazione può essere utilizzata poiché la conversazione non sarebbe di carattere professionale.

Quanto predetto si giustificherebbe in quanto la ragione del divieto di intercettare le conversazioni tra avvocato e cliente ex art. 103 cpp (combinato disposto dell’art. 103 cpp comma 7 e art. 271 cpp) sarebbe la tutela dell’esercizio della funzione difensiva come diritto costituzionalmente garantito.

L’inutilizzabilità comunque si applica nelle ipotesi in cui il difensore venga a conoscenza dei fatti a causa dell’esercizio delle funzioni difensive o della professione in attinenza con la funzione esercitata.

La succitata sentenza ha espresso il principio per cui, in relazione alle garanzie dei difensori ex art. 103 cpp il divieto di intercettazione di conversazioni o comunicazioni non opera per tutte queste in generale per il solo motivo della qualifica di difensore, ma esclusivamente per le conversazioni attinenti alla funzione esercitata.

Pertanto, se vi è intercettazione di conversazione tra indagato e avvocato, che comunque conversano per l’intercorrenza tra loro di un rapporto di profonda amicizia, il giudice deve stabilire se quel colloquio sia o meno utilizzabile, ed a tale scopo, dopo aver analizzato globalmente la conversazione, deve valutare in primis se la persona indagata stia parlando per ottenere una strategia difensiva o semplicemente per mera confidenza con l’avvocato che potrebbe essere fatta a chiunque altro si trovasse il stretti rapporti di amicizia, ed inoltre deve valutare se quanto detto dal difensore sia nell’ambito della professione oppure di sola natura amicale.