La Cassazione sez. II, con sentenza 27528/14 ha chiarito che il reato di appropriazione indebita ex art. 646 cp si realizza anche quando non ci sia stato un vero e proprio danno alla persona offesa, se il soggetto attivo si sia appropriato di un bene entrato nell’altrui patrimonio.
La sentenza è stata emessa in conseguenza di un caso in cui il dipendente di una pubblica società che visualizzava siti pedopornografici appropriandosi della linea telefonica della società, in tal modo distogliendo anche il computer dalla gestione di impianto pubblico di illuminazione comunale mandando in blocco tale servizio.
Il problema di decidere se fosse o meno rilevante per l’integrazione del reato che ci fosse un danno alla persona offesa si dimostrava rilevante nel caso di specie, infatti, la società datrice di lavoro possedeva un contratto flat con il fornitore del servizio per cui un aumento maggiore o minore del servizio non avrebbe aumentato l’importo da pagare o la qualità del servizio, quindi di fatto non ci sarebbe una diminuzione del patrimonio del titolare del contratto.
La Corte ha dunque confermato la decisione già presa in appello: in primo luogo ha chiarito che risulta irrilevante l’accertamento di un danno al titolare del bene protetto, in secondo luogo che l’accadimento è consistito non tanto nell’uso dell’apparecchio telefonico come oggetto fisico, così come prospettato dal ricorrente, quanto piuttosto dalle energie costituite da impulsi elettronici già entrate a far parte del patrimonio dell’offeso.
I giudicanti fanno riferimento al fatto che l’art. 646 cp, diversamente da altre disposizioni come il 640 cp, non prevede il nocumento come elemento costitutivo della fattispecie. Cioè il danno non sarebbe necessario per integrare un’appropriazione indebita.
La succitata sentenza si è dimostrata interessante anche dal punto di vista processuale in quanto tra gli elementi di prova su cui si basa la condanna rientrano anche quelli che emergono dalle video riprese effettuate dalla persona offesa sul luogo del lavoro in periodo successivo all’apertura delle indagini.
Nella pronuncia si da per consolidata la sentenza a Sezioni Unite 26795/06 in tema di videoriprese con la quale si è chiarita la differenza tra atti e documenti e l’art. 234 cpp si riferisce ai soli documenti formati fuori anche se non per forza prima del processo: sarebbe documento la sola rappresentazione di fatti, persone o cose, contenuta su una base materiale e realizzata per finalità extraprocessuali.
Inoltre come ha confermato in più pronunce la Cassazione (Cass. sez. V, n. 20722/10, Cass. sez. V. 34842/11) affermando che l’art. 4 l. 300/70 vieta i soli impianti audiovisivi tesi al controllo dell’attività dei lavoratori, e non anche, invece, quelli usati per la salvaguardia del patrimonio dell’azienda da altrui offese, inclusi gli stessi lavoratori dipendenti. Dunque la Corte afferma che le risultanze probatorie delle videoriprese effettuate per quest’ultima finalità sono pienamente utilizzabili nel processo.