L’assunzione di sostanze considerate dopanti a mero scopo estetico, se non direttamente riferibile a dei vantaggi in termini di risultati delle competizioni sportive, non perfeziona il reato di ricettazione di farmaci dopanti, anche se con tale comportamento viene messa in pericolo la propria salute. Questo è il dicta della  la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza 9 gennaio 2013, n. 843.

La questione in oggetto vedeva tre ragazzi che assumevano anabolizzanti, acquistati nel circuito illegale, con l’unico scopo di modificare in meglio il loro aspetto fisico, anche a costo di assumere sostanze illegali, chiaramente dannose per la salute ed il loro benessere psico-fisico.

I giudici romani hanno escluso che, nella fattispecie, sussistesse una qualsiasi intenzione di ottenere un vantaggio sportivo, collegato ad esempio alla partecipazione a manifestazioni agonistiche. Infatti il solo obiettivo dei giovani era quello di modificare il proprio aspetto fisico, di conseguenza, verrebbe meno il reato presupposto essenziale per il configurarsi della ricettazione, costituito dalla fattispecie in oggetto, dalla violazione di cui all’art. 9, primo comma, Legge 376/2000.

Dunque, secondo un orientamento ormai assodato della Corte di Cassazione, la nozione di profitto, prevista dall’art. 648 c.p., comprende non solo il lucro, ma qualsiasi utilità, anche non patrimoniale, che l’agente si proponga di conseguire, è altrettanto evidente che se la latitudine del concetto di profitto può essere estesa a qualsiasi utilità, la nozione di utilità, a sua volta non può essere estesa all’infinito. “Diversamente ragionando si perverrebbe ad una interpretazione abrogante del dolo specifico richiesto dalla norma, con la conseguenza che la condotta di acquisto o ricezione di cosa proveniente da delitto sarebbe punibile solo sulla base del dolo generico, vale a dire la semplice conoscenza dell’origine illecita della cosa”.

Di conseguenza, ad avviso dei giudici di legittimità, deve escludersi che il fine di compiere un’azione dannosa su sé stessi perseguendo un’utilità esclusivamente personale, come la definizione fisica, o meramente immaginaria, possa integrare il requisito del fine di profitto, vale a dire il dolo specifico previsto dalla norma di cui all’art. 648 per la punibilità delle condotte ivi descritte.