Il reato di stalking potrebbe configurarsi anche a mezzo facebook se la vittima presa di mira on line è costretta a modificare le proprie abitudini di vita a causa dello stato d’ansia.
La Cassazione con sentenza 21407/16 ha confermato la condanna per stalking di un uomo che a seguito della separazione dalla moglie continuava a seguire su facebook gli ex suoceri, cui il Giudice aveva affidato i figli della coppia e tramite il social li minacciava.
Tale condotta aveva creato spavento non solo nei nonni ma anche nei minori, tant’è che i primi avevano dovuto limitare le proprie uscite di casa per paura di incontrare il genero che in più occasioni si era appostato davanti alla loro abitazione.
La prova delle minacce da parte dell’uomo risultava chiaramente dai messaggi di facebook, ma anche dalle testimonianze delle persone offese e dei servizi sociali.
Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione le dichiarazioni delle persone offese possono di per sé costituire una prova della responsabilità dell’indagato, qualora ne sia verificata l’attendibilità.
Nel caso di specie vi erano numerosi riscontri per fondare le accuse, come l’utilizzo da parte dell’uomo di account intestati a soggetti di fantasia utilizzati per nascondere la propria identità alle vittime delle persecuzioni.
La Corte chiarisce nella detta sentenza, che è irrilevante per l’integrazione dello stalking, che le singole condotte siano o meno autonomamente perseguibili come reato come nei casi di appostamenti o pedinamenti, è sufficiente che queste vengano percepite come atti persecutori idonei a cagionare uno stato d’ansia e paura per la propria incolumità.