Nei giorni scorsi la Polizia di Agrigento ha denunciato 62 persone che avevano, tra di esse, costituito un gruppo su Whatsapp: attraverso la detta applicazione gli utenti si scambiavano informazioni in ordine alla presenza di pattuglie impegnate nello svolgimento di ordinari controlli. Di qui la iniziativa degli inquirenti delle forze dell’ordine di contestare il reato di interruzione di pubblico servizio a mente dell’art. 340 c.p (il reato è punito con la reclusione fino a un anno ma se si individuano i capi o gli organizzatori della turbativa la pena ascende sino a 5 anni).

La curiosità della vicenda è legata al fatto che l’indagine sarebbe scaturita dal semplice ritrovamento di uno smartphone sul quale sarebbe poi stata “scovata” la chat con il gruppo organizzato. Peraltro, come noto, oggi è assai diffusa la prassi adottata da molte Procure di sequestrare i cellulari in caso di gravi incidenti allo scopo di accertare se gli stessi fossero in uso al momento dello incidente.

È pur vero che a tutt’oggi esistono navigatori in grado di segnalare ed inviare (lecitamente) ad una community la presenza di postazioni fisse di autovelox: occorre tuttavia evitare (nel caso che il navigatore lo consenta) di inviare segnalazioni sugli appostamenti delle pattuglie poiché, in tal caso, si potrebbe incorrere nel reato di interruzione di pubblico servizio.

In definitiva si può concludere che è lecito segnalare i casi in cui l’utente della strada non ha la certezza che la attività di controllo delle forze dell’ordine sia effettivamente in corso come, ad esempio, la presenza di postazione fissa non presidiata da agenti; è invece vietata (pena la sanzione ex. art. 340 c.p.) la segnalazione di situazioni in relazione alle quali l’utente possa avere la ragionevole certezza che il controllo sia, invece, in atto (come il caso di agenti appostati vicino a strumenti per la rilevazione della velocità ecc..)