È ciò che statuisce la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la sentenza n. 31950/2018 pubblicata lo scorso 11 dicembre, chiamata a pronunciarsi in un caso di richiesto risarcimento del danno da morte del prossimo congiunto, deceduto a causa di un sinistro stradale, da parte del coniuge superstite fedifrago.
In particolare, nel giudizio da un lato è stato provato che il marito della persona deceduta intratteneva, nel periodo in cui è occorso l’incidente, una relazione extraconiugale (cui ha fatto seguito la nascita di un figlio), mentre dall’altro quest’ultimo non ha dimostrato la persistenza del vincolo affettivo con la moglie deceduta, come avrebbe invece dovuto per ottenere il risarcimento secondo l’autorevole parere del Giudice di Legittimità.
La Cassazione, infatti, ritiene che il coniuge superstite, per difendere la propria pretesa risarcitoria, messa a repentaglio da elementi che fanno presumere il deterioramento del rapporto coniugale, è tenuto a dimostrare di aver effettivamente subito, per la persistenza del vincolo affettivo, il domandato danno non patrimoniale.
Il danno non patrimoniale da perdita del congiunto, ovverosia la sofferenza morale che di norma si accompagna alla morte di una persona cara come è il coniuge e nella perdita del relativo rapporto parentale e conseguente lesione del diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare, è infatti “presunto” nel vincolo di coniugio.
Tuttavia, il fatto che l’uomo avesse intrattenuto all’epoca del sinistro una relazione extraconiugale, dalla quale era anche nato un figlio, tre mesi prima della morte della moglie (ciò che costituisce evidente inadempimento all’obbligo di fedeltà tra coniugi di cui all’art. 143 c.c.), sono tutti elementi che contrastano rispetto alla presunzione di sussistenza (tra coniugi non separati) di un progetto di vita in comune e di un vincolo affettivo.
Stante quanto sopra, di fronte a circostanze che, secondo comune esperienza, costituiscono segnale della crisi e della cessazione di un rapporto coniugale, sarebbe stato onere del marito dimostrare la perdurante sussistenza tra i coniugi dell’affectio maritalis, anche se non legalmente separati. Prova non fornita nel caso in esame.
Secondo la difesa dell’uomo, invece, i giudici di merito avrebbero inopinatamente equiparato il deterioramento del rapporto alla cessazione del vincolo affettivo, negandogli qualsiasi forma di ristoro del pregiudizio morale. Per il ricorrente, in particolare, la relazione extraconiugale e la nascita di un figlio naturale non sarebbero elementi univoci rispetto all’insussistenza delle sofferenze morali riportate in conseguenza della morte della moglie.
Tuttavia, secondo la Cassazione la presunzione semplice secondo cui fra stretti congiunti sussista un intenso vincolo affettivo e un progetto di vita in comune – senza che il soggetto danneggiato abbia l’onere di provare di avere effettivamente subito il dedotto danno non patrimoniale – può essere superata da elementi di segno contrario, quali la separazione legale o (come nel caso di specie) l’esistenza di una relazione extraconiugale con conseguente nascita di un figlio tre mesi prima della morte del coniuge.
Detti elementi non comportano, di per sé, l’insussistenza del danno non patrimoniale in capo al coniuge superstite, ma impongono a quest’ultimo, in base agli ordinari criteri di ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., di provare di avere effettivamente subito, per la persistenza del vincolo affettivo, il domandato danno non patrimoniale.
Nella specie, conclude la Cassazione, la Corte territoriale che ha ritenuto, con valutazione non sindacabile in sede di legittimità, che l’uomo non avesse fornito detta prova, correttamente ha rigettato la domanda risarcitoria.