Un cliente di una banca che provava un interesse per una dipendente della medesima, dopo avere ricevuto un sms anonimo che lo informava del fatto che la donna in questione frequentava un suo collega sposato, assumeva un investigatore privato per identificare l’autore del messaggio.

Il Tribunale di Torino condannava quindi sia il detto cliente, che la titolare dell’agenzia, per acquisizione e raccolta illecita dei dati sensibili e per acquisizione e comunicazione di dati personali: tali dati coinvolgevano infatti la sfera personale e sessuale dell’impiegata, pertanto la loro divulgazione aveva a lei arrecato danno.

Tale sentenza veniva confermata poi dalla corte d’Appello di Torino.

Veniva quindi investita della questione la Cassazione sez. V., che si è pronunciata con sentenza 2 dicembre 2011 n. 44940 chiarendo che chi per rancore diffonde notizie relative a rapporti personali tra colleghi, viola la privacy degli interessati e commette reato di diffamazione.

I ricorrenti avevano lamentato la violazione dovuta alla mancata applicazione della legge più favorevole al reo, eccezione però respinta dalla Corte in quanto vi è continuità punitiva tra la l’art. 35 della l. 675/96 e gli artt. 23-26 l. 196/03 (codice privacy): entrambe le fattispecie prevedono la presenza della lesione della parte offesa, ma mentre il reato previsto ex art. 35 l. 675/96 la prevede come circostanza aggravante, il codice privacy individua la lesione come condizione obiettiva di punibilità. Gli ermellini hanno ritenuto corretto il ragionamento della Corte di Appello che ha ritenuto più favorevole il trattamento previsto dalla legge precedente proprio per la qualificazione del nocumento come circostanza aggravante quindi soggetta a giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti diversamente dalla condizione obiettiva di punibilità.

Entrambi gli imputati hanno violato la privacy della persona offesa in quanto hanno esercitato abusivamente controlli sulla stessa avendo acquisito informazioni sulla sua vita privata ed avendo diffuso tali informazioni presso terzi  causando danno alla donna. Infatti la legge privacy richiede il consenso dell’interessato se i dati siano destinati alla diffusione, consenso che mancava nel caso all’attenzione.

La Cassazione ha altresì ribadito che diffondere nel ristretto ambito di lavoro la notizia dell’esistenza di una relazione sentimentale o sessuale clandestina tra due dipendenti ha carattere diffamatorio, a maggior ragione se uno dei due è sposato: la riprovazione sociale infatti, cade non solo sulla persona sposata ma su entrambi i partner.

Il fatto che uno dei due abbia voluto mantenere il segreto sulla relazione è anche controprova del fatto che entrambi si sarebbero ritenuti danneggiati anche sul piano della reputazione, dalla diffusione della notizia.

Secondo la Cassazione non sussisterebbe nel caso di specie neanche il diritto di critica in quanto mancherebbe il requisito della rilevanza sociale delle notizie.