Con sentenza del 8/7/16 la Corte d’Appello, in parziale riforma di quella del Tribunale, rideterminava la pena irrogata a N. M. e C. P per furto aggravato il primo e resistenza e concorso nel furto il secondo.
Proponeva ricorso NM tramite il proprio difensore deducendo, tra le altre cose, la violazione delle norme stabilite a pena di nullità in relazione all’art. 420 ter cpp.
La Corte aveva respinto la richiesta di rinvio del giudizio di appello a fronte del certificato attestante impedimento a comparire dell’imputato, avendo sottolineato che non risultava il luogo di degenza, cosicchè la certificazione avrebbe dovuto deputarsi insufficiente.
Ma in realtà l’imputato aveva fin dall’arresto e dalla convalida dello stesso indicato la propria residenza ad un indirizzo specifico e non aveva poi comunicato un indirizzo diverso, così si sarebbe dovuto presumere che ivi fosse altresì il luogo di degenza, risultando inidonea la motivazione della Corte.
La questione è stata risolta da sentenza della Cassazione penale sez. VI, 19 giugno 2018 n. 28222, la quale ha statuito che la mancata indicazione, nella certificazione sanitaria, del luogo di degenza o di quello di visita non implica che detta certificazione non debba essere presa in considerazione e che non possa, se del caso, disporsi una visita di controllo all’indirizzo conosciuto, dovendosi semmai escludere che gravi sul giudice l’onere di rintracciare altrove l’imputato, effettuando a tal fine mirate ricerche.