Le telefonate erotiche non possono essere considerate attività di prostituzione. Questo principio è stato chiarito dalla Terza Sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n.333546/2012) motivando che “le ‘prestazioni vocali’ effettuate, sia pure al fine di eccitare sessualmente l’interlocutore, non possono equivalere a prestazioni sessuali, non impegnando zone corporali erogene”. Alla luce di questa motivazione veniva annullata la condanna inflitta a un uomo di 35 anni accusato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di una giovane con la quale si era accordato di farle fare telefonate erotiche a pagamento, dando anche precise indicazioni e istruzioni varie su come svolgere detta attività.

Infatti a dire degli ermellini i giudici di merito (nella specie la corte d’appello di Milano) avrebbero in modo inesatto valorizzato il concetto di “attività di prostituzione svolta a distanza” e trascurato, invece, “la necessità della presenza dell’atto sessuale quale elemento caratterizzante l’atto di prostituzione”. In questo modo la Corte d’Appello ha ritenuto ingiustificatamente che nella fattispecie in oggetto si potesse integrare il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione con riferimento alle telefonate.

Nel ricorso per Cassazione l’uomo aveva sostenuto che per il perfezionarsi di un reato tal genere sarebbe stato necessario il compimento quantomeno di un atto sessuale, cosa che non si era fisicamente mai verificata con i soli contatti vocali.

Una tesi questa avallata dai giudici romani che hanno così accolto il ricorso precisando che già in in altre occasioni la stessa Corte aveva chiarito come non rientrasse nell’area di prestazione prostitutiva “il mero fatto di denudarsi dietro corrispettivo onde eccitare l’istinto sessuale salvo che, significativamente, a tal fatto non si accompagnino anche contatti corporei (ad es. ‘lap dance’ con accarezzamento dei fianchi da parte dei clienti)”.