Il Tribunale di Milano, sez. III, con sentenza 14 luglio 2015, ha risposto al quesito se sia configurato  il delitto di truffa nel caso in cui vi sia un inganno del partner a livello sentimentale al fine di indurlo ad effettuare una prestazione patrimoniale a proprio favore. Nella medesima sentenza il Tribunale ha trattato anche della configurabilità della fattispecie di appropriazione indebita di denaro dato in prestito.

La vicenda da cui è scaturita la sentenza era la seguente: una donna presta varie somme di denaro all’imputato suo partner da alcuni mesi, ricevendo dall’uomo rassicurazioni relativamente alla restituzione del denaro e promesse circa la formazione di una famiglia insieme a lei.

L’uomo dopo avere ricevuto in prestito una somma di circa 16.000 € interrompe la relazione con la donna restituendole solo un esigua parte dei soldi.

In relazione al reato di truffa il Tribunale asserisce che affinchè questo possa essere integrato si necessiti provare che l’uomo, con una condotta fraudolenta, avesse indotto la partner in errore sulle proprie intenzioni, con l’intento presente fin dall’inizio e perdurante sia di ingannarla sui propri sentimenti sia di trattenere il denaro ricevuto.

Secondo il tribunale di Milano è ben possibile che si possano configurare ipotesi di “truffa sentimentale” , ma prende in considerazione tre principali aspetti:

il primo è la necessità che vi sia una concreta portata fraudolenta della condotta, ossia vi devono essere artifici e raggiri, in quanto la semplice menzogna non integra una condotta tipica di truffa.

Il secondo è il dolo iniziale, per cui l’agente deve avere avuto la volontà fin dall’inizio di ingannare la partner e di ottenere così la prestazione patrimoniale. Cosa difficile anche dal punto di vista probatorio.

Il terzo è il rapporto causale/consequenziale tra errore e atto di disposizione patrimoniale. Non ci sarebbe infatti truffa se l’errore non è stato effettivamente la causa dell’atto dispositivo e non si dimostri che, in assenza di esso, quell’atto non sarebbe stato posto in essere. Secondo il Tribunale dunque, essendo difficile conoscere tutti i fattori di una relazione di coppia si dove ritenere “normalmente impossibile provare che non sussistano altre cause di per sé sufficienti a giustificare l’atto dispositivo”.

Non sarebbe neppure semplice accertare l’errore nel soggetto passivo, in quanto, come sostiene la dottrina citata in sentenza, il dubbio concreto sulla possibilità di essere ingannati esclude la configurabilità della truffa.

Dunque, quasi sempre nelle condotte di “truffa sentimentale” astrattamente riconducibili al reato ex art. 640 cp, è difficile arrivare alla sanzione penale. Nel caso di specie si è infatti pervenuti all’assoluzione dell’imputato dal delitto di truffa per assenza della condotta fraudolenta e del dolo iniziale.

Quanto all’ipotesi di appropriazione indebita ex art. 646 cp, il Tribunale ha chiarito che la mancata restituzione di somme di denaro date in prestito è penalmente irrilevante, in quanto essa può configurare solo una violazione di contratto in sede civile.

Non può comunque costituire appropriazione indebita in quanto mancherebbe il requisito dell’altruità della cosa oggetto della condotta: avendo le parti pattuito la futura restituzione delle somme consegnate, l’operazione è giuridicamente qualificabile come contratto di mutuo, dunque al momento della consegna del denaro l’accipiens ne diventa proprietario ex art. 1814 cc, rimanendo obbligato alla restituzione.

Nella sentenza si fa comunque cenno ad un diverso orientamento giurisprudenziale per cui la nozione civilistica di altruità non sarebbe determinante nella configurazione dell’appropriazione indebita, la cosa sarebbe altrui quando gravata da un vincolo di destinazione ad un scopo cui altri ha interesse.

Anche volendo aderire a quest’ultimo orientamento, secondo il Tribunale di Milano la soluzione è invariata in quanto il denaro fu consegnato all’imputato nell’ambito di una relazione sentimentale senza prevedere uno specifico vincolo di destinazione, pertanto la condotta dell’imputato al limite risulta rilevante in sede civile.