Nell’esecuzione della propria attività investigativa gli inquirenti possono procedere al sequestro dei beni della persona sottoposta ad indagini, se si ritiene che essi possono costituire un valido mezzo di prova. Ovviamente, per la ricerca di informazioni, i primi sono sicuramente i dispositivi elettronici (telefoni e tablet, oltre che portatili) di cui oggi tutti ne siamo in possesso e contengono numerosi informazioni personali.

A questo punto al domanda di rito è: cosa si rischia a non collaborare con le forze dell’ordine rifiutandosi di dare il codice necessario a sbloccare il dispositivo?

È possibile per tale condotta venire incriminati di un reato?

Un dispositivo elettronico in possesso dell’indagato può essere sequestrato tutte le volte in cui si ritenga che all’interno del dispositivo siano rinvenibili elementi di prova necessari per le indagini in corso.

Una volta effettuato il sequestro, l’Autorità procedente può acquisire i messaggi e altro attraverso l’utilizzo di appositi software di estrazione, i quali consentono di risalire a varie informazioni ed inoltre a tutte le chat presenti all’interno di uno smartphone, anche se cancellate.

La Corte di Cassazione (14 luglio 2021, n. 27122) ha chiaramente stabilito che può essere disposto il sequestro probatorio di messaggi WhatsApp e di sms conservati sulla memoria dello smartphone, in quanto gli stessi hanno natura di documenti informatici.

Il tutto senza rispettare le garanzie previste per le intercettazioni telefoniche, in quanto i messaggi WhatsApp non rappresentano un flusso di comunicazioni, ma semplicemente dei dati acquisibili alla stregua di documenti.

Detto ciò occorre però evidenziare come nessuna norma di legge impone a una persona indagata di collaborare con la giustizia;

Il tutto in base al principio costituzionalmente garantito del nemo tenetur se detegere, pertanto, se il proprietario del cellulare sequestrato dalla polizia dovesse rifiutarsi di fornire il codice per sbloccare il dispositivo, non commetterebbe alcun reato (Cass., 23 marzo 2023, n. 17604).

Questa condotta ovviamente non impedirebbe il sequestro e per molti dispositivi la polizia è comunque in grado di hackerare il device, anche se le case produttrici stanno implementando ogni anno i loro livelli di sicurezza.