La Suprema Corte di Cassazione Sez. I, si è trovata a risolvere un conflitto di competenza tra il Gup del Tribunale di Roma ed il Gup del Tribunale di Venezia.

Richiamando una precedente pronuncia a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 17325 del 26/3/15) la Corte ha ribadito che in tema di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, il luogo di consumazione del delitto di cui all’art. 615 ter cp è quello ove si trova l’utente che, tramite elaboratore elettronico, o altro strumento che tratta dati in automatico, eseguendo una procedura di autentificazione, supera le misure di sicurezza poste dal titolare del diritto (tipo la parola chiave) oppure vi si mantiene oltre i limiti dell’autorizzazione ricevuta.

Nella suddetta sentenza la Corte da una nozione di accesso a sistema informatico che non coincide con l’ingresso fisico nel server, ma con l’introduzione telematica o virtuale che si verifica tramite un colloquio elettronico o circuitale con sistema centrale e terminali ad esso collegati.

Si ha l’accesso con la digitazione da remoto delle credenziali di autenticazione da parte dell’utente, mentre tutti gli eventi successivi assumono i connotati di comportamenti comunicativi tra il client ed il server.

Viene infatti affermato che il sistema telematico deve considerarsi unitario, essendo coordinato da un software di gestione che presiede al funzionamento della rete, alla condivisione della banca dati, alla archiviazione delle informazioni, e alla distribuzione ed invio dati ai singoli terminali interconnessi.

E’ chiaro quindi, che l’ingresso o l’introduzione abusiva vengono effettivamente ad essere integrati nel luogo in cui l’operatore materialmente digita la password di accesso o esegue la procedura di login, che determina il superamento delle misure di sicurezza apposte dal titolare del sistema, così accedendo alla banca dati come inteso nella norma.