È ritenuto colpevole per evasione dell’Iva l’imprenditore che ha omesso il versamento superando la soglia di punibilità anche se lo ha fatto per un errore del commercialista sulla dichiarazione.

Quello che viene preso in considerazione è l’atto sottoscritto dal legale rappresentante e depositato presso l’amministrazione.

Così si è pronunciata la Cassazione con sentenza n. 12378 del 17 aprile 2020.

Per la Corte al fine dell’integrazione del reato di cui all’art. 10 ter dlgs 74/20 l’entità della somma da versare, costituente il debito Iva, è quella risultante dalla dichiarazione del contribuente e non quella effettiva desumile dalle annotazioni contabili.

Non rileva neppure se l’importo dell’Iva sia effettivamente incassato.

Inoltre, il debito erariale non deve risultare dai registri delle fatture emesse o delle fatture e della contabilità d’impresa o dal bilancio.

Il debito erariale che rileva ai fini del reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto è solo quello oggetto della dichiarazione annuale.

La presentazione della dichiarazione infatti, costituisce un presupposto necessario ai fini della consumazione del reato, tant’è che l’autore dello stesso deve necessariamente rappresentarsi che l’oggetto della condotta omissiva è esattamente ed esclusivamente il debito dichiarato non quello risultante altrove.

Pertanto la non corrispondenza tra il debito dichiarato e quello che emerge dalla contabilità dell’azienda (in ipotesi ad essa inferiore) non è rilevante, i quanto la fattispecie si riferisce al solo debito dichiarato.