La Suprema Corte di Cassazione penale, sez. VI, con sentenza n. 6467 del 13.2.15 ha statuito che la simulazione di possedere un inesistente titolo professionale, per avere un colloquio con un detenuto di cui si è stati nominati difensori di fiducia costituisce il reato di cui all’art. 348 cp, poiché determina la pubblica percezione del reale esercizio della professione forense o comunque l’apparenza di un’attività svolta da un soggetto che sia regolarmente abilitato.

la sentenza scaturisce dal caso di un laureato in giurisprudenza, ma privo dell’abilitazione di avvocato, condannato in primo e secondo grado per il reato di esercizio abusivo della professione: egli nel corso di un mese aveva tenuto tre colloqui in carcere con persona detenuta, usando la qualifica di avvocato innanzi agli agenti di polizia penitenziaria.

Per ingannare gli agenti di polizia l’uomo aveva mostrato loro la denuncia di smarrimento dei propri documenti identificativi tra cui il tesserino di appartenenza all’ordine degli avvocati.

La difesa dell’imputato asseriva la mancanza dell’esercizio in maniera continuativa ed organizzata della professione anche perché non era provato che l’uomo ricevesse un compenso.

L’art. 348 cp tutela l’interesse generale, di pertinenza della PA, a che le cosiddette “professioni protette”, che richiedono particolari requisiti di probità e competenza tecnica vengano esercitate soltanto da chi, avendo conseguito una speciale abilitazione amministrativa, risulti in possesso delle qualità morali e culturali richieste dalla legge.

La norma si riferisce ad altre fonti che come integrazione necessaria hanno il ruolo di precisare quali sono le professioni che richiedono la speciale abilitazione da parte dello Stato e quando invece sarebbero esercitate abusivamente.

Le fonti integrative possono riguardare sia le discipline riguardanti gli ordinamenti professionali ma anche quelle che importano a tale scopo come ad esempio le materie degli esami di stato.

Proprio per questa necessaria integrazione l’art. 348 cp viene definita norma penale in bianco (così ad esempio Cass. sez. VI, 47028/09).

Sul punto un contrasto interpretativo è stato risolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 11545 del 15/12/11, che affrontava la questione se le condotte di tenuta della contabilità aziendale integrassero il reato di esercizio abusivo della professione di ragioniere o commercialista, ove svolte da soggetto non iscritto al relativo albo professionale, in modo continuativo, organizzato e retribuito.

La Suprema Corte aderendo all’indirizzo giurisprudenziale più recente ha affermato che: “è concreto esercizio abusivo della professione, punibile a norma del 348 cp, non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva a una determinata professione, ma anche il compimento senza titolo di atti  che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorchè lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità, organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.

Pertanto, Cass. Sez. VI, n. 6467/15, su questa linea ha sostenuto che, anche se i colloqui con un detenuto non sono prerogativa esclusiva dell’avvocato difensore, ben potendo assumere carattere familiare, affettivo o assistenziale, il loro reiterato e continuativo compimento attraverso lo strumento professionale ex art. 104 cpp crea la pubblica percezione  dell’esercizio della professione forense o comunque l apparenza di un’attività svolta da soggetto regolarmente abilitato; apparenza resa ancor più verosimile dal fatto che l’imputato aveva esibito una denuncia di smarrimento del tesserino al fine di celare la mancanza del titolo professionale.

Quando l’esercizio dell’attività professionale ha ad oggetto atti tipici, il reato ha natura istantanea, esso si perfeziona anche con il compimento di un solo atto abusivo che realizza definitivamente il verificarsi dell’evento lesivo.