La Corte Costituzionale con sentenza 111 del 5/6/23 ha dichiarato la parziale illegittimità degli artt. 64 comma 3 cpp e 459 cp, ribadendo il concetto per cui indagato o imputato devono essere sempre avvertiti della facoltà di non rispondere alle domande relative alle proprie condizioni personali.

La questione scaturiva dal Tribunale di Firenze: il Giudice osservava che il codice di procedura come da sempre interpretato dalla Cassazione richiede che ogni indagato venga avvertito della facoltà di non rispondere relativamente al fatto di cui è accusata, ma non relativamente alle circostanze personali di cui all’art. 21 disp.att. cpp, ad esempio quali siano le sue condizioni sociali, familiari, patrimoniali, se abbia un soprannome, se abbia riportato condanne penali ecc…, pertanto richiedeva alla corte se tale disciplina fosse compatibile con il diritto al silenzio di cui all’art. 24 Cost., art. 6 Convenzione europea diritti dell’uomo, art. 14 Patto internazionale diritti civili e politici delle Nazioni Unite.

La Corte Costituzionale con la suddetta sentenza ha ritenuto costituzionalmente illegittima la disciplina previgente e ha chiarito come il diritto al silenzio opera anche quando l’autorità procedendo in relazione alla commissione di un reato “ponga al sospettato o all’imputato domande su circostanze che, pur non essendo immediatamente attinenti al fatto di reato, possono essere successivamente utilizzate contro di lei nell’ambito del procedimento o processo penale., o comunque potrebbero avere conseguenze sulla condanna o sull’entità della sanzione inflitta.

Così come le domande previste dall’art. 21 disp.att del codice di procedura penale.