Il caso in oggetto riguardava un minore che, colto da malore mentre nuotava in una piscina, è poi morto per annegamento.

A seguito di ciò,  venivano rinviate a giudizio l’educatrice del bambino e un bagnino di salvataggio, per il reato di omicidio colposo in forma omissiva.

Si precisa che tale forma di delitto si perfeziona solo quando soggetti che si trovano in posizione di garanzia nei confronti di una persona (hanno cioè il compito di proteggere i beni giuridici di quest’ultima, tra i quali la vita, quando tali interessi si trovino minacciati da situazioni di pericolo) o non intervengano nel caso del concretizzarsi di un rischio, per non aver notato tale rischio o per averlo sottovalutato, oppure intervengano violando regole di diligenza, prudenza o perizia.

Nel caso de quo, nel quale viene contestata l’ipotesi di colpa omissiva, il confine da superare per aversi rilevanza penale è molto labile, dovendosi valutare se il soggetto abbia omesso una azione fondamentale dell’intervento (forma omissiva) o ha realizzato l’intervento nella sua forma commettendo però un errore esecutivo (forma commissiva-omissiva).

La giurisprudenza, anche recentemente (si veda Cass. pen. 38024/2012), si è appuntata sulla responsabilità del bagnino per mancato intervento a salvaguardia del natante, applicando le normali regole in tema di reato omissivo.

Nello specifico, si può evidenziare il fatto che il bagnino deve tenere una condotta diligente, tenendosi pronto ad intervenire per evitare sia pericoli manifesti che pericoli nascosti; il suo grado di diligenza troverà un limite nell’effettiva possibilità di intervento, infatti, qualora l’intervento sia al di fuori del comune, il bagnino non incorrerà in responsabilità penale.

Rilevante dunque valutare accuratamente ogni caso, per determinare se dal salvataggio fosse esigibile un impegno di diligenza superiore a quello tenuto (diligenza che, dal punto di vista penalistico, è quello che avrebbe tenuto un agente modello per evitare l’evento negativo).

Nella sentenza sopracitata, è stata infatti escluso che l’omissione del bagnino potesse avere rilievo penale, poiché, per la mancanza di personale, al bagnino era richiesto un impegno superiore al “normale”, vale a dire controllare contemporaneamente più vasche. Infatti, l’indagine sulla sussistenza o meno di reati veniva estesa anche verso altri soggetti, tra i quali il gestore della piscina.

La sentenza del nostro caso, invece, ha decretato la responsabilità penale del salvataggio, garante dell’integrità fisica dei bagnanti, ritenendo che lo stesso non si sia posto, come doveva e poteva, in una situazione tale da poter agevolmente prevedere il realizzarsi di pericoli così da intervenire tempestivamente per evitarli.