Ai fini dell’integrazione dell’abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) è necessario che sussista la c.d. “doppia ingiustizia”, nel senso che ingiusta deve essere sia la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, sia l’evento di vantaggio patrimoniale in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia. Gli ermellini, infatti, hanno stabilito che occorre una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l’ingiustizia del detto vantaggio dalla illeggittimità del mezzo utilizzato e, quindi, dall’accertata esistenza dell’illeggittimità della condotta.

(In applicazione di questo principio la Suprema Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la responsabilità, a titolo del reato di cui all’art. 323 c.p, del magistrato del P.M. il quale, aggirando il precetto della legge, concentrando gli incarichi di consulenza nelle mani di un ristretto gruppo di soggetti i quali avevano, d’altro canto, percepito onorari illegittimi, in violazione del limite normativamente stabilito delle 8 vacazioni giornaliere).

(Cass. Penale Sez. V, 2 dicembre 2008 – 21 aprile 2009, n. 16895).