Liberarsi della proprietà di un immobile al fine di non dover pagare gli alimenti al figlio, potrebbe rivelarsi del tutto inutile se l’altro genitore ha già svolto istanza per il mantenimento; ciò sarebbe, di per sé, già idoneo ad ottenere la revocatoria dell’atto di compravendita senza che sia indispensabile un provvedimento giudiziale.
Non sarebbe dunque necessario dover dimostrare che lo acquirente abbia partecipato all’atto fraudolento in danno ai creditori: è sufficiente che il terzo sia consapevole del pregiudizio arrecato alla madre ed al figlio. Questo è quanto stabilito dai Giudici della Suprema Corte (N. 25857/2020) accogliendo il ricorso della madre e del ragazzo contro la statuizione della Corte D’Appello che aveva negato la sussistenza della natura simulatoria dell’atto (vendita di una villa) e la sua revocatoria.
Secondo la Corte d’Appello la revocatoria non poteva essere declarata per più motivi: carenza della prova della simulazione (assoluta), mancanza di elementi che potessero dimostrare la partecipazione dolosa (nella frode ai creditori) da parte dell’acquirente. Inoltre il credito (sempre a giudizio della Corte d’Appello) non poteva considerarsi ancora sorto al momento dell’atto posto che, a quel tempo, era stata solo presentata la istanza per l’assegno di contributo al mantenimento.
Secondo gli Ermellini, al contrario, tale impostazione deve ritenersi errata e, dunque, il credito deve considerarsi già sorto nel momento in cui viene svolta una domanda finalizzata a vedersi assegnato un contributo al mantenimento del figlio; ciò in ragione del principio generale secondo il quale l’obbligo dei genitori di mantenere la prole scatta per il solo fatto di averla generata e indipendentemente dalla decisione del Giudice al riguardo.
Sempre la Cassazione conclude ed afferma che, ai fini della revocatoria della compravendita, non è necessario dimostrare la adesione alla frode da parte del compratore: è sufficiente che sussista la sua consapevolezza di pregiudicare la ragioni dei creditori.