Nella società attuale, segnata da un progresso tecnologico imperante, è sempre più frequente la prassi delle imprese di conferire ai propri dipendenti una SIM aziendale (con associata una specifica utenza telefonica) da utilizzare per finalità esclusivamente lavorative oppure, laddove previsto, promiscue.

In quest’ultimo caso, ossia qualora il lavoratore utilizzi la scheda telefonica e il relativo numero – oltre che per lo svolgimento della propria prestazione – per fini personali, potrebbero sorgere diversi problemi al momento della cessazione del rapporto di lavoro, in quanto ci si potrebbe domandare se l’utenza telefonica debba rimanere intestata al datore o se l’ormai ex-dipendente possa chiedere ed ottenere l’intestazione a suo nome.

Innanzitutto, è bene premettere che, per rispondere compiutamente al quesito di cui sopra, sarebbe necessario prendere visione del contratto di lavoro del prestatore (se possibile, anche di quello concluso con la compagnia telefonica) e, ove presente, dell’eventuale regolamento aziendale disciplinante la concessione delle SIM, in modo da poter valutare se e a quali condizioni il dipendente possa richiedere ed ottenere l’intestazione dell’utenza al momento della cessazione del rapporto lavorativo (anche se non sempre vi sono specifiche statuizione sul punto).
Infatti, per ovvie ragioni praticità, il prestatore di lavoro ha un interesse concreto a mantenere invariato il proprio recapito telefonico. Tuttavia, un interesse in tal senso è presente anche in capo all’impresa, in quanto il numero, nel tempo, potrebbe essere diventato un punto di riferimento per la clientela.

Le cose si complicano maggiormente qualora l’utenza aziendale fosse stata, ab origine, intestata al dipendente, con successivo subentro dell’impresa nel contratto di telefonia al momento dell’assunzione.

In materia ha avuto modo di esprimersi il Garante per la Protezione dei Dati Personali (GPDP) con un interessante provvedimento, il n. 512 del 20 novembre 2017, pronunciato a seguito di un ricorso presentato da un ex-dipendente avverso l’impresa datrice di lavoro.

Nel caso di specie, il ricorrente lamentava come, sia durante il rapporto lavorativo che successivamente alla sua cessazione, la società resistente avesse posto in essere una serie di violazioni della normativa privacy in materia di trattamento dei dati personali. In particolare, per quello che qui interessa, l’ex-dipendete rappresentava come, in data 9 marzo 2017, fosse stata “disattivata dal fornitore del servizio telefonico, su richiesta della resistente, la scheda Sim assegnatagli dall’azienda per lo svolgimento delle mansioni lavorative ma anche per esigenze personali, con attribuzione ad un altro dipendente dell’utenza telefonica da lui utilizzata da oltre dieci anni (e che dopo la sua assunzione in E. nel 2008 aveva accettato di intestare a tale società) rimanendo priva di seguito la sua richiesta di ripristinare come privata l´utenza legata al numero telefonico in questione

La resistente, di tutta risposta, dichiarava “di essere subentrata, dopo l’assunzione del ricorrente, nel contratto di abbonamento riferito all´utenza telefonica cellulare in questione divenuta pertanto aziendale, senza mai effettuare in seguito alcun controllo sulla Sim e sul telefono assegnati al ricorrente, nonché di aver provveduto, dopo la cessazione del rapporto, a far disattivare la scheda Sim e ad assegnarne una nuova collegata all´utenza telefonica cellulare in questione, al dipendente che ha sostituito il ricorrente”.

In merito all’opposizione al trattamento avanzata, il Garante, in considerazione del fatto “che il numero di utenza cellulare utilizzato dal ricorrente per le comunicazioni private ed aziendali durante la sua attività lavorativa in E., compreso l´utilizzo a fini di messaggistica whatsapp, era stato da questi conferito alla società dopo la sua assunzione nel 2008 e che era stato in precedenza utilizzato dal medesimo per oltre dieci anni quale numero esclusivamente personale”, ha ritenuto che detto numero telefonico rappresentasse “ormai una inscindibile connessione con la persona del ricorrente, tanto che ad esso non potranno più essere associate utenze whatsapp appartenenti ad altri soggetti senza visualizzare automaticamente anche i messaggi video, audio, fotografici nonché gli eventuali link web o i documenti diretti al medesimo fino a quando tutti i suoi contatti non ne avranno preso conoscenza ed avranno opportunamente modificato le relative impostazioni”.

Pertanto, dal momento che, “nelle more del predetto aggiornamento da parte di un numero imprecisato di soggetti, l’utilizzo da parte di terzi dell’utenza cellulare in questione” avrebbe potuto “arrecare al ricorrente un serio danno alla riservatezza, all´identità personale ed alla dignità del medesimo”, il Garante aveva ordinato alla resistente “di sospendere immediatamente qualunque utilizzo dell’utenza telefonica cellulareonde “consentire al ricorrente […] di ottenere l’intestazione a proprio nome dell’utenza in questione”.

La motivazione posta a fondamento del provvedimento di cui sopra risulta estremamente interessante quanto innovativa, dal momento che mette in risalto come, soprattutto a seguito dello sviluppo di nuove tecnologie e applicazioni (quali, per esempio, il noto e usatissimo WhatsApp), il trasferimento di un recapito telefonico da un soggetto ad un altro possa, in determinati casi, arrecare un danno alla riservatezza, all’identità personale e persino alla dignità del precedente utilizzatore.

Pertanto, le imprese che intendano conferire ai propri dipendenti SIM ad uso promiscuo (pratica oggi giorno sempre più diffusa, ma spesso non adeguatamente regolata) dovrebbero prestare particolare attenzione alle possibili conseguenze a cui si andrebbe in contro in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla luce soprattutto di quanto statuito dal Garante per la Protezione dei Dati Personali.