La terza sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25503 pubblicata il 13 dicembre scorso, torna ad occuparsi della annosa questione della sanzione che colpisce il contratto di locazione nel caso in cui il proprietario dell’immobile dato in locazione non provveda a registrare il contratto medesimo come previsto per legge.
In particolare, secondo l’art. 1, comma 346, della Legge n. 311/2004, “i contratti di locazione sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.
In contrapposizione alla chiarezza del precetto normativo, diverse e discordanti sono le impostazioni ermeneutiche proposte dalla giurisprudenza sul punto, con ripercussioni notevoli sulle azioni esperibili dal conduttore.
Secondo un primo orientamento, condiviso dalla Corte di Appello di Bologna nel caso in esame, il contratto di locazione non registrato sarebbe valido ma inefficace; ciò in quanto la registrazione rappresenta una condizione di efficacia del contratto, pertanto il difetto di registrazione non inficerebbe il contratto in termini di validità.
Ne consegue che l’inefficacia del contratto non esime il soggetto occupante dall’obbligo di pagare il canone pattuito, quale corrispettivo della detenzione, intrinsecamente irripetibile.
Questa impostazione, tuttavia, non è condivisa da chi sostiene che la lettera della norma prescriva chiaramente la sanzione della nullità per il contratto stipulato ma non registrato; da cui consegue che il locatore è tenuto alla restituzione di tutti i canoni versati dal conduttore in forza di un titolo invalido.
Ebbene, con la sentenza in commento, la Suprema Corte consolida quest’ultimo approccio ermeneutico, valorizzando essenzialmente il chiaro dato letterale dell’art. 1, comma 346, Legge n. 311/2004, che testualmente cita la sanzione della nullità.
Il Giudice di Legittimità questa volta, però, fa di più, si spinge oltre. In aggiunta all’argomento letterale rileva un’argomentazione di ordine sistematico, richiamando, a sostegno della conclusione della nullità del contratto di locazione non registrato, la sentenza della Corte Costituzionale n. 420 del 5 dicembre 2007, la quale ha stabilito che il legislatore, con l’art. 1 co. 346 della Legge n. 311/2004, ha elevato “la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.”.
In conclusione, pertanto, non può che rilevarsi come la sentenza della Cassazione Civile n. 25503 del 13/12/2016, rappresenti un intervento ermeneutico in perfetta armonia con l’obiettivo del legislatore di sanzionare ogni attività contrattuale che si riveli elusiva degli obblighi tributari oltre che contrastante con i principi di ordine pubblico economico.