La recentissima sentenza del Supremo Consesso, sezione III civile, n. 34895 del 28 novembre 2022 afferma chiaramente come, in caso di scontro tra veicoli, l’accertamento della responsabilità esclusiva in capo ad uno dei conducenti coinvolti e della regolare condotta di guida dell’altro – idonea a liberare quest’ultimo dalla presunzione di colpa concorrente prevista dall’art. 2054, comma 2 c.c., nonché dall’onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno – può essere svolto acquisendo tale prova liberatoria non necessariamente in modo diretto, cioè a dire attraverso la dimostrazione della conformità del proprio contegno di guida alle regole della circolazione stradale o di comune prudenza, ma “anche indirettamente”, ovvero “tramite il riscontro del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento dannoso col comportamento dell’altro conducente”.

Con tale pronuncia gli Ermellini riconfermano un principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità, conformi: Cass. sez. III, ord. 9 marzo 2020, n. 6655, Cass. sez. VI-3, ord. 21 maggio 2019, n. 13672, Cass. sez. III, sent. 22 aprile 2009, n. 955, Cass. sez. III, sent. 10 marzo 2006, n. 5226, Cass. sez. III, sent. 16 luglio 2003, n. 11143, Cass. sez. III, sent. 19 aprile 1996, n. 3723).

La Corte d’Appello partenopea, accertata la consumazione, da parte del conducente l’autovettura di proprietà della R., di ben due, gravi, infrazioni stradali (l’invasione dell’opposta corsia di marcia e la mancata concessione della precedenza ai veicoli che procedevano lungo di essa, e in particolare, al motoveicolo guidato dal C.), non doveva affermare la necessità – perché il C. potesse essere liberato dalla presunzione di eguale responsabilità di cui all’art. 2054, comma 2, c.c. – della dimostrazione che egli si fosse “pienamente uniformato alle norme della circolazione e a quelle di comune di prudenza”, nonché di aver “fatto tutto il possibile per evitare il sinistro”.

All’opposto, la stessa Corte territoriale avrebbe dovuto interrogarsi – a fronte di un quadro probatorio che non aveva restituito “evidenze” (ma mere congetture) sul contegno di guida del motociclista, essendo rimasta ignota persino la velocità impressa dallo stesso al proprio veicolo – sull’idoneità del comportamento dell’automobilista ad integrare la causa esclusiva del sinistro, potendo essa costituire prova “indiretta”, comunque idonea a vincere quella presunzione di legge.