S.M dipendente della G.A.,  riportava grave infortunio sul lavoro, cadendo da un ponteggio privo di parapetto, poiché stava ivi lavorando senza cintura di sicurezza, pertanto faceva ricorso al Giudice del Lavoro di Reggio Emilia, che però rigettava la domanda.

Giunti in Cassazione la Corte concludeva che non vi fosse stato un comportamento abnorme da parte del ricorrente e che invece ci fosse stato comportamento omissivo del datore di lavoro che aveva mancato l’adozione delle cinture di sicurezza , e la vigilanza sul fatto che le stesse vengano indossate (Cass. 4980/06).

Veniva inoltre fondato il motivo in merito alla liquidazione del danno morale che era stato ritenuto in via automatica come quota del danno biologico.

Secondo l’orientamento della Cassazione il danno non patrimoniale derivante dalla lesione dell’integrità fisica del lavoratore, identificato nella sommatoria di danno biologico  (all’integrità fisica) e danno morale (consistente nella sofferenza per l’ingiuria fisica subita) non richiede ai fini della risarcibilità la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 185 cp essendo riferibile ai diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti (Cass. 12593/10). Ancora, in merito alla liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato o sottostimato, non rileva il nome assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall’attore (biologico, morale, esistenziale) ma unicamente il pregiudizio concreto preso in esame dal giudice. Si parla dunque di duplicazione di risarcimento solo quando il medesimo pregiudizio sia stato liquidato due volte, sebbene con l’uso di nomi diversi (Cass. 10527/11).

Secondo questa Corte, il Giudice di primo grado avrebbe potuto liquidare anche il danno morale poiché sussistente, tanto più che nel caso di specie vi era stato anche un accertamento dei fatti in sede penale, ma avrebbe dovuto dare una motivazione relativamente ad altri profili di danno non coperti da quello già liquidato a titolo di danno biologico ed operare un’autonoma valutazione degli stessi. Invece nella motivazione della sentenza impugnata venivano liquidati danni a titolo di danno morale dipendenti dalle medesime malattie considerate per il danno biologico e liquidati in una quota parte di quest’ultimo danno.

La sentenza impugnata non è apparsa dunque coerente con i principi recentemente espressi dalla Corte di Cassazione  che ha introdotto la necessità di una specifica considerazione dei profili di danno ed anche una specifica e separata quantificazione.