Soltanto pochi giorni fa gli Ermellini si sono espressi, in un caso di malasanità ad opera del medico di base, in direzione del tutto innovativa rispetto al passato decretando, non soltanto il medico stesso responsabile per la imperizia e negligenza adoperata nello svolgimento della sua professione nei confronti del paziente vittima, ma assumendo quale responsabile in solido con lo stesso medico convenzionato (e qui sta la grande novità) anche la A.S.L. di riferimento.

Con la sentenza n. 6243 del 27.03.2015 infatti la Corte di Cassazione compie una precisa disamina sul rapporto di convenzione esistente fra medico generico e Servizio Sanitario Nazionale, rapporto che sta alla base del ruolo rivestito dal medico “di famiglia” e che pertanto non può che comportare, laddove a errare sia il medico convenzionato, un addebito di responsabilità, a monte potremmo dire, anche nei confronti dell’ente da cui il medico dipende.

Con il principio di diritto contenuto in questa sentenza assolutamente rivoluzionaria, il giudice di legittimità – in Sezione Civile – ribalta l’orientamento seguito dai colleghi delle diverse Sezioni Penali della stessa Corte che, chiamati in passato a pronunciarsi in relazione alle richieste risarcitorie di carattere civilistico, a più riprese negavano qualsivoglia responsabilità in capo al Servizio Sanitario Nazionale, atteso che la ASL con cui il medico di base è convenzionato non esercita, in concreto, alcun potere di vigilanza, controllo e direzione sul medico stesso, il quale è del tutto libero sia nella predisposizione dell’organizzazione che mette a disposizione del paziente, sia nella scelta delle cure da praticare (Cass. Pen., 23 settembre 2008, n. 36502; Cass. Pen. 16 aprile 2003, n. 34460). Con tali premesse le Sezioni Penali giungevano ad escludere l’applicabilità del disposto degli artt. 1228 e 2049 del Cod. Civile in quanto il medico convenzionato, a loro giudizio, non era da considerarsi un ausiliario dell’azienda sanitaria, né, tanto meno, quest’ultima poteva considerarsi come ente accettante il rischio della libera attività del sanitario. Nemmeno, segnalavano le stesse Sezioni Penali, era possibile configurare una responsabilità derivante dal cosiddetto “contatto sociale” fra ASL e paziente – con conseguente insorgenza di un rapporto obbligatorio –, esclusa proprio da quell’autonomia riconosciuta al medico convenzionato rispetto all’ASL di riferimento.

Pertanto lo Stato poteva, in passato n.d.r., tirare un sospiro di sollievo, risultando la ASL di riferimento del medico imperito sempre indenne da qualsiasi tipo di comminatoria di responsabilità.

Ora invece, con questa sentenza del Giudice Supremo che fa stato, non è più così.

La Cassazione stabilisce, in ispecie, che “L’ASL è responsabile civilmente, ai sensi dell’art. 1218 c.c., del fatto illecito che il medico, con essa convenzionato per l’assistenza medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione medico curativa, ove resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita dal S.S.N. in base ai livelli stabiliti secondo la legge”.

Il titolo di responsabilità comminato al Servizio Sanitario Nazionale è pertanto quello contrattuale (ex art. 1218 C.C.) con tutto ciò che comporta anche a livello di onere probatorio e termini prescrittivi del diritto al risarcimento – entrambi i piani sicuramente molto agevolativi per il paziente danneggiato che vuole muoversi per ottenere il risarcimento del proprio danno.

Dopo una arguta analisi sulla normativa relativa al dovere di assistenza medico-generica che incombe sul S.S.N. e, quindi, sulle Unità sanitarie locali, a ciò deputate, gli Ermellini scavano e ricercano gli aspetti che caratterizzano il rapporto medico/paziente ma, soprattutto, il rapporto medico convenzionato/ASL e paziente-utente/ASL, concludendo che ogni qual volta vi sia una prestazione in convenzione, essa sia espressione di quel dovere di assistenza che la ASL fornisce attraverso un proprio dipendente oppure mediante un medico “parasubordinato” (il medico convenzionato appunto).

la Cassazione rileva come il medico di base esplica la propria attività in convenzione, solo previa instaurazione, con la ASL, di specifico rapporto, appunto, di convenzionamento; il medico, a differenza del libero professionista, infatti non viene pagato dal paziente/cliente, ma riceve il proprio compenso direttamente dalla ASL (anzi se così non fosse verrebbe a cadere la convenzione stessa).

Anche l’indicazione di un medico “di fiducia”, invero, avviene direttamente nei confronti della ASL, poiché questi è scelto da un apposito albo tenuto dalla azienda sanitaria e tale medico non può poi rifiutare la prestazione sanitaria in favore dell’utente del S.S.N. (che viene quindi svolta in base al rapporto di convenzionamento e non in base ad un titolo legale o negoziale che costituisca un rapporto diretto con il paziente).

Da questi elementi la Corte, quindi, ricava la parasubordinazione dell’attività del medico convenzionato, il quale viene considerato quale ausiliario della ASL ai fini dell’adempimento del proprio dovere di fornire l’assistenza medico-generica.

In altri termini, “il medico generico (o di base) convenzionato, nello svolgimento della propria attività professionale, adempie una obbligazione della ASL nei confronti degli assistiti/utenti del SSN e la adempie per conto e nell’interesse di quella”.

Quanto alla obbligazione della ASL di fornire l’assistenza medica di base, la Cassazione ritiene che essa sia da annoverare fra quelle che sorgono ex lege, poiché il dovere di fornire detta assistenza trova la propria fonte ed i propri limiti nella legge che ne assicura l’erogazione; essa, pertanto, è da ricomprendersi tra quelle contemplate dall’art. 1173 cc e, sebbene non derivante da contratto, ben può essere considerata una obbligazione quoad effectum contrattuale, per la quale, in relazione alla sua fase patologica, vengono in rilievo le disposizioni di cui agli artt. 1218 e ss. del C.C..

Diretto corollario di tale rilievo giuridico è che, in ipotesi di illecito commesso dal medico convenzionato nell’adempimento della prestazione di assistenza medico-generica, opera pienamente l’art. 1228 cc, e, quindi, la piena responsabilità della ASL.

E allora come non riportare alla mente la figura del celebre “medico della mutua” di sordiana memoria, con l’attenzione cronometrata su ogni paziente? Ma oltre che sorridere uno spaccato del genere timore non genera più, ora che lo sbaglio del medico comporta la responsabilità solidale del Servizio Sanitario Nazionale – e quindi piena tutela risarcitoria in caso di incapienza del medico e dei suoi beni.

Con la diretta conseguenza che i controlli sull’operato dei medici stessi probabilmente si faranno più stringenti e costanti da parte delle aziende sanitarie di riferimento. A tutta tutela del paziente.