Il conduttore che chieda la risoluzione del contratto per inadempimento della parte locatrice conserva il diritto a vedersi riconosciuta l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale ex art. 34 della Legge n. 392/1978.
Tale indennità consiste nella corresponsione di una somma pari a 18 mensilità dell’ultimo canone pagato.
Così si è pronunciata la Corte d’Appello di Firenze con la sentenza del 17 giugno 2015 n. 1152, che nel caso di reciproche domande di risoluzione del contratto per inadempimento proposto dalle parti ha ritenuto prevalente l’inadempimento delle parti locatrici per l’omessa manutenzione straordinaria del bene, che non ha permesso in seguito l’utilizzo del bene immobile.
In particolare la Corte si è espressa in primis sull’inoperatività della clausola risolutiva espressa in mancanza di una precisa domanda in tal senso affermando che: “Una volta proposta l’ordinaria domanda ai sensi dell’art. 1453 c.c. con l’intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione ope legis di cui all’art. 1456 c.c., in quanto quest’ultima è ontologicamente diversa dalla prima, sia per quanto concerne il petitum – perché con la domanda di risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c. si chiede una sentenza costitutiva mentre quella di cui all’art. 1456 postula una sentenza dichiarativa – sia per quanto concerne la causa petendi – perché nell’ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell’art. 1453, il fatto costitutivo è l’inadempimento grave e colpevole, nell’altra, viceversa, la violazione di clausola risolutiva espressa”.
Successivamente il collegio giudicante ha censurato l’erronea valutazione del giudice di primo grado per aver considerato inammissibile convertire nel corso del giudizio l’originaria domanda di adempimento in domanda di risoluzione del contratto stabilendo che: “La conversione della domanda di adempimento in domanda di risoluzione era ed è comunque consentita ed erroneamente il primo giudice ha omesso di vagliarla solo sul rilievo che la stessa fosse contenuta in una memoria non autorizzata, successiva alle memorie integrative ex art. 426 c.p.c. Infatti la disposizione dell’art. 1453 c.c., comma 2, abilita la parte che ha precedentemente invocato la condanna dell’altra parte ad adempiere, a sostituire a tale pretesa quella di risoluzione, in deroga al regime delle preclusioni nelle fasi più avanzate dell’iter processuale, non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma perfino nel giudizio di appello”.
In ultimo vale la pena segnalare che la Corte avendo rilevato la totale infondatezza dell’appello incidentale proposto dalle locatrici, ha condannato le stesse a pagare a favore dell’Erario una somma pari al doppio del contributo unificato già versato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115/2002.
Giova infine rilevare che la Corte d’Appello avrebbe potuto sanzionare le locatrici anche ai sensi dell’art. 96 c.p.c. e comunque per abuso del diritto poiché le medesime avevano intimato sfratto per morosità alla conduttrice non in ragione di un effettivo pregiudizio, ma solo successivamente e come reazione alla pregressa iniziativa giudiziaria di quest’ultima (procedimento per accertamento tecnico preventivo n. 2272/2011) volta ad accertare lo stato di dissesto del bene e la necessità di provvedere ad urgenti interventi di ristrutturazione straordinaria dello stesso. Tuttavia la conduttrice ha comunque ritenuto satisfattivo il risarcimento ottenuto con la suddetta sentenza.