La Corte di Cassazione Penale con la sentenza n. 16214 depositata il 27.04.2022 affronta il caso della autentica della firma in calce ad un mandato difensivo, da parte di un avvocato nell’esercizio della sua attività, compiuta nonostante la sottoscrizione non fosse stata apposta in sua presenza.

Era stata ipotizzata a suo carico la commissione del reato di cui all’art. 481 c.p. Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità” (“Chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 51 a euro 516.
Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro.
”)

A seguito della condanna nel merito, l’avvocato si difendeva assumendo che la certificazione della autenticità della firma non è destinata anche a provare che la sottoscrizione sia stata apposta in sua presenza, come invece aveva ritenuto il giudice del merito, che aveva affermato la responsabilità dell’imputato proprio per aver certificato che la firma era stata rilasciata in sua presenza.

Ai sensi dell’art. 83 comma III c.p.p., il difensore ha il compito di certificare l’autografia della firma ma non di certificare che la stessa è stata apposta in sua presenza.

La Corte di Cassazione accoglie il rilievo, cassa la sentenza e afferma: “Colgono invece nel segno le critiche formulate dal ricorrente con riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato”.

E aggiunge: “… invero quella dell’autenticazione “differita” è prassi tutt’altro che inusuale e comunque non illecita, come già ricordato, fermo restando per l’appunto che il legale nell’esercizio del suo potere attestativo sia certo dell’identità del sottoscrittore”.