Occorre innanzitutto premettere che l’addebito va necessariamente richiesto da una o da entrambe le parti, secondo il principio della domanda, qualora uno dei coniugi o ambedue abbiano interesse ad attribuire la rottura dell’unione coniugale al comportamento dell’altro, contrario ad uno o più doveri di cui all’art. 151 comma 2 c.c. (di collaborazione, assistenza, coabitazione, fedeltà, etc.).

La pronuncia di addebito della separazione ha importati conseguenze sul piano patrimoniale, in quanto ad essa seguono:

  • la condanna alle spese legali a carico della parte soccombente (coniuge a cui è addebitata la separazione);
  • la perdita del diritto all’assegno di mantenimento (sempre per il coniuge cui è addebitata la separazione), salvo il diritto agli alimenti laddove sussista uno stato di bisogno, ai sensi dell’art. 433 c.c.. In particolare, qualora il coniuge “addebitato” percepisca gli alimenti al momento dell’apertura della successione, egli conserva il diritto ad un assegno vitalizio che graverà a carico dell’eredità. Tuttavia, il coniuge che subisce l’addebito della separazione conserva il diritto alla pensione di reversibilità a prescindere dalla percezione di un assegno alimentare a carico del coniuge deceduto.
  • la perdita dei diritti successori (art. 548 comma 2 c.c.) verso il coniuge al quale non sia addebitata la separazione, diritti che in ogni caso si perdono con il divorzio.

Inoltre il coniuge a cui non è addebitata la separazione ha anche la facoltà di chiedere il risarcimento dei danni subiti per la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, in quanto tali violazioni possono essere fonte di una responsabilità extracontrattuale.

In ogni caso, la separazione personale, che presuppone l’intollerabilità della convivenza, non determina lo scioglimento del vincolo coniugale, determinando soltanto la cessazione del dovere di coabitazione tra i coniugi, salvi gli altri.

Ora, frequenti sono le ipotesi di addebito per violazione del dovere di coabitazione o del dovere di fedeltà, ovvero i casi di addebito per abbandono del tetto coniugale o tradimento, sempre che tali eventi abbiano reso impossibile la prosecuzione della convivenza, ovvero ne siano stati la causa e non l’effetto, in quanto non consequenziali e successivi alla rottura.

In particolare, relativamente all’addebito della separazione per violazione del dovere di fedeltà, la giurisprudenza più recente ha a più riprese affermato che debba attribuirsi rilevanza anche ai plausibili sospetti di infedeltà (ex multiis “Quando la relazione intrattenuta dal coniuge con terzi… sia idonea a dar luogo a plausibili sospetti di infedeltà, è tale da costituire causa di addebito della separazione ex art. 151 c.c. anche qualora di fatto non si sostanzi in un vero e proprio tradimento, poiché in ogni caso tale da determinare l’offesa alla dignità ed all’onore dell’altro coniuge” Sentenza Trib. Trieste n. 307 del 24.03.2011; in tal senso anche una recentissima pronuncia della Suprema Corte, secondo la quale “La relazione con estranei che dia luogo a plausibili sospetti d’infedeltà rende addebitabile la separazione, quando comporti offesa alla dignità ed all’onore del coniuge, anche se non si sostanzi in adulterio” Corte di Cassazione, ordinanza n. 1136/20).

Si tratta di pronunce fondamentali che a protezione dei diritti costituzionalmente tutelati quali la dignità e l’onore dell’individuo, rendono meno gravoso l’onere probatorio a carico dell’istante, il quale può ben sperare nell’addebito a carico dell’altro coniuge pur non fornendo la gravosa prova dell’adulterio sic et simpliciter. Tanto che il ricorrente non dovrà dimostrare l’avvenuto tradimento, ma dovrà provare che la notizia del rapporto extraconiugale sia stata diffusa e resa nota alla collettività in danno alla propria reputazione e dignità. Pertanto, potrà comportare l’addebito anche un tradimento solo millantato, nel caso in cui, reso noto, abbia leso la dignità e la reputazione del coniuge offeso.