Le omissioni imputabili al medico nella redazione della cartella clinica rilevano sia come figura sintomatica di inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale contenuta nell’art. 1176 secondo comma, c.c , sia come nesso eziologico presunto, posto che l’imperfetta compilazione della stessa non può, in via di principio , risolversi in danno di colui che vanti un diritto in relazione alla prestazione sanitaria.

( Cass. Civ. , sez. III , 26 gennaio 2010, n. 1538).

La Sentenza in esame si occupa, ancora una volta, delle problematiche legate alle carenze organizzative delle strutture sanitarie ed in particolare nei casi in cui , a fronte di richieste risarcitorie del paziente , vengano rinvenute cartelle cliniche tenute in modo incompleto .

Sul punto viene ribadito il principio cosiddetto della vicinanza della prova e lo stesso viene utilizzato proprio per risolvere i casi contraddistinti da una negligente tenuta delle cartelle cliniche . Sulla questione un dato è certo : la carenza dei dati riversati nella cartella clinica ( e che si sarebbero dovuti evidenziare) non potrà mai risolversi in un vantaggio ( sotto il profilo degli oneri probatori) per il sanitario .

Se così la prova ( di un fatto ) non può essere data, causa la non corretta compilazione della cartella clinica, il relativo onere probatorio viene posto a carico di colui nella cui sfera giuridica si è concretizzato l’inadempimento : per la prova del fatto si potrà così far ricorso alle presunzioni ovviamente a discapito della struttura sanitaria coinvolta.

Tra l’altro la “sanzione” in questione appare più che fondata posto che il sanitario curante è tenuto alla regolare tenuta della cartella ai sensi dell’art. 1176 c.c.

E’ pertanto evidente come la responsabilità medica stia assumendo caratteri sempre più stringenti ritenendo che si possa ormai tranquillamente affermare che la stessa vada assumendo sempre più i contorni della responsabilità oggettiva.