L’assegnazione della casa coniugale è regolamentata dall’art. 155 quater c.c.; lo stesso prevede che il diritto di abitare la casa coniugale spetta di preferenza e , ove sia possibile , al coniuge cui vengono affidati i figli. Di tale assegnazione , poi, il Giudice tiene conto nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi . Il linea di massima il godimento della casa coniugale viene a cessare nel caso che l’assegnatario decida di passare a nuove nozze o di intraprendere una convivenza more uxorio. ( Sul punto si segnala una sentenza del Trib. Di Roma – 3.12.2007- che ha disposto l’assegnazione della casa coniugale di proprietà di entrambi i coniugi alla madre già convivente more uxorio con altro uomo ).
Problema di notevole importanza è quello relativo al contratto di comodato avente ad oggetto la casa coniugale la cui assegnazione venga disposta dal Giudice in sede di separazione.
Due differenti interessi vengono a scontrarsi : quello dell’assegnatario e di conseguenza quello della prole a non veder alterati gli assetti abitativi e quello del comodante ( spesso estraneo ai rapporti tra i coniugi ) al recupero della disponibilità del suo bene.
A tal proposito si rinvengono orientamenti divergenti : quello maggioritario è stato avallato dalle Sez. Un. della Cassazione (21.07.2004 n. 13603). Il provvedimento di assegnazione in questione “ non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento sull’immobile”; dunque anche a seguito del provvedimento di assegnazione gli assetti del rapporto contrattuale tra le parti restano quelli originari . Il problema principale è quello relativo alla possibilità di recesso in capo al comodante . La prima distinzione da farsi è stabilire se il comodato è a tempo indeterminato o , viceversa , a termine. Nel primo caso la prevalente giurisprudenza ( in linea con le Sez. Un. di cui sopra) esclude che il comodante possa esercitare il recesso ad nutum a meno che non sopravvenga un urgente o imprevisto bisogno del comodante che , tuttavia , non potrà essere rappresentato ( ad esempio) dalla necessità di reperire una nuova abitazione per il figlio – coniuge non assegnatario e che , come tale , dovrà allontanarsi dalla casa coniugale . ( si segnalano comunque pronunce di segno contrario che legittimano il recesso ad nutum del comodante : cfr. Cass. 13.02.2007 n. 3179, Trib. Siracusa 27.10.2003, Trib. Foggia 26.11.2002).
Se il contratto di comodato è invece a tempo determinato troverà applicazione l’art. 1809 c.c. .
Un ‘ultima considerazione va fatta sulla modalità per l’eventuale esercizio del recesso ad nutum : lo stesso non potrà essere esercitato in maniera contraria a buona fede e non deve concretizzarsi in un abuso del diritto fatto valere . Il comodante dovrà così concedere al comodatario – assegnatario un congruo termine utile a reperire una nuova soluzione abitativa. E’ comunque evidente che qualora parte comodataria (convivente con prole di tenera età ) non si determini a lasciare spontaneamente la casa di cui trattasi ben difficilmente il proprietario comodante riuscirà ad ottenere il rilascio dei locali anche in sede di esecuzione forzata. In sostanza il diritto di proprietà , in tale circostanza, rischia comunque di cedere il passo alla esigenza (della prole) di veder tutelato l’habitat familiare.