Sentenza Tribunale Rimini Sez. Lavoro N.217.2015 Dott. Lucio Ardigò
Il Tribunale di Rimini (Sezione Lavoro) prende una decisa posizione nel giudicare la condotta di un dipendente che, durante il congedo per malattia, era dedito a svolgere (altre) attività lavorative “per conto terzi”.
La vicenda trae origine da un licenziamento per giusta causa ai danni di un dipendente ritenuto responsabile di una condotta sleale ed infedele a causa di gravi violazioni a carattere disciplinare poste in essere da quest’ultimo.
Il datore di lavoro, da tempo insospettito da una non trascurabile quantità di certificazioni mediche (e relativi periodi di congedo) che puntualmente gli venivano consegnati dal dipendente in questione, decise di ricorrere ad una agenzia investigativa privata al fine di “smascherare la condotta truffaldina” di quest’ultimo.
All’esito di tali accertamenti, peraltro supportati da ampio materiale fotografico scattato dall’investigatore, emerse che durante una giornata di convalescenza il dipendente, anziché curarsi ebbe invece ad intraprendere un viaggio (con la propria auto) di oltre 300 Km (peraltro per recarsi presso una officina per svolgervi una prestazione lavorativa) per poi ripercorrerli a ritroso nella serata del medesimo giorno.
Il Giudice Riminese ha ritenuto del tutto legittimo il ricorso alle attività investigative atte ad accertare eventuali comportamenti illeciti del proprio dipendente “e ciò non solo per quando l’illecito si sia già verificato e quindi per verificarne il contenuto ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso”.
L’Azienda, sempre secondo il Giudice riminese, avrebbe correttamente esercitato “i poteri di controllo che la giurisprudenza di legittimità gli riconosce nel caso di assenza del dipendente per infermità, al fine di appurare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa e quindi a giustificare la assenza (Cass. Sez. Lavoro n. 6236 del 03.05.2011 Rv. 546441)”.
Evidenzia, sempre il Giudice Riminese, come la giurisprudenza di legittimità “sia ferma nel ritenere che la giusta causa di licenziamento debba rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare dell’elemento della fiducia che deve effettivamente sussistere fra le parti”.
Del resto, come peraltro confermato dalla cassazione (Sez. Lav. N. 27104 del 19.12.2006 Rv. 594037) “l’allontanamento del lavoratore dipendente dalla propria abitazione in costanza di malattia configuri un grave inadempimento comportante un serio pregiudizio all’interesse del datore di lavoro in virtù del mero pericolo di aggravamento delle condizioni di salute o di ritardo nella guarigione del lavoratore medesimo, perché risultano violati gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro allorché la natura dell’infermità sia stata giudicata – come nel caso di specie – incompatibile con la condotta tenuta dal dipendente”.
Un altro significativo passaggio della sentenza riminese riguarda il criterio della proporzionalità tra addebito e recesso: a tal fine “rileva ogni condotta che per la sua gravità possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali: essendo determinante , in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza , buona fede e correttezza”
Sulla scorta di tali principi il giudice ha dichiarato pienamente legittimo il licenziamento per giusta causa.