A pronunciarsi è niente po’ po’ di meno che la Suprema Corte di Cassazione – Cass. Civ., Sez. Lavoro, Sent. n. 20728 del 14.10.2015 –, i cui giudici ripercorrono gli atti di causa relativi al licenziamento di un dipendente da una grande azienda automobilistica a causa del ritrovamento, nel di lui armadietto, di vari reperti “osé” (un PC e tre DVD a carattere porno), avallando la posizione dei giudici di secondo grado intervenuti, che hanno rilevato, all’esito delle prove testimoniali e sulla base delle risultanze istruttorie tutte, non sussistere gli estremi a giustificazione del licenziamento dell’operaio.

I giudici del Palazzaccio, nel confermare l’illegittimità del licenziamento di cui sopra, sottolineano infatti come gli elementi raccolti contro il lavoratore non siano «sufficienti a fondare la certezza che durante l’orario di lavoro il dipendente si fosse dedicato alla visione dei filmati potendo, tutt’al più, alimentare il sospetto che ciò possa essere avvenuto, che però non è idoneo a ritenere provato l’addebito».

Il sospetto poteva sì nascere, nel caso di specie, dal binomio: rinvenimento di materiale pornografico all’interno del posto di lavoro ed avvistamento del lavoratore/detentore di tale materiale in compagnia di colleghi in locale dell’azienda adibito all’alimentazione elettrica – gli atti di causa riportano infatti «durante il turno di lavoro un manutentore all’unità di montaggio veniva notato dal personale addetto alla tutela del patrimonio aziendale in compagnia di alcuni colleghi di lavoro» all’interno di un locale per l’alimentazione elettrica.

Tuttavia tale ricostruzione indiziaria – cui l’azienda datrice di lavoro faceva discendere «mancanze ed inadempienze consistenti in abbandono senza giustificazione alcuna del posto di lavoro e di svolgimento di attività estranee alle sue mansioni durante l’orario di lavoro, consistenti, tra l’altro nella visione di filmati a carattere pornografico» – veniva prontamente sconfessata dalle risultanze istruttorie: la presenza del ricorrente nel locale elettrico nulla poteva dire in ordine al(l’eventuale) mancato svolgimento delle mansioni lavorative facenti capo al dipendente stesso, eventualmente occupato “a fare altro”, posto che era «emerso che Z. qualche giorno prima del 28 aprile 2008 era stato assegnato ai Servizi Generali come operaio manutentore (cfr. testi P., Pi., C.) e si sarebbe dovuto occupare della manutenzione e riparazione delle plafoniere».

Inoltre, come evidenziato già dalla Corte d’Appello, al momento dell’ispezione non vi era in corso alcuna attività di visione di filmati, anzi, PC e DVD erano ben chiusi negli armadietti presenti nel locale, con la conclusione che, posto che «le asserite ammissioni del dipendente restavano, poi, circoscritte a quelle riportate nella lettera di giustificazioni, ossia di “averne visto lo scorcio di uno (filmato) durante la pausa mensa”, dato che la compiuta istruzione non aveva offerto elementi ulteriori, e la circostanza riconosciuta è certamente diversa dall’avere impiegato l’orario lavorativo in attività diverse dalla prestazione», la Corte stessa, come poi il Supremo Giudice a conferma, non poteva che ritenere il licenziamento del dipendente illegittimo.

In particolare, l’addebito «abbandono del posto di lavoro non era stato sufficientemente supportato dalle prove assunte, come pure la compiuta istruzione non aveva fornito prova certa del dedotto impiego del tempo di lavoro in attività (visione di filmati) estranee alla prestazione lavorativa».

Il ricorso presentato dall’azienda datrice di lavoro è stato, pertanto, rigettato, in quanto le censure dalla stessa mosse comportano una ricostruzione dei fatti di causa che richiede necessariamente un riesame nel merito della vicenda, inammissibile in sede di legittimità.