La recentissima sentenza Cass. civ., Sez. Unite, (ud. 06-07-2021) 9.09.2021, n. 24414 pare tentare di risolvere la vexata quaestio del crocifisso in classe col canonico compromesso all’italiana.
Il caso riguarda la compatibilità fra l’ordine di esposizione del crocifisso – impartito dal dirigente scolastico di un istituto professionale statale, sulla base di una delibera assunta a maggioranza dall’assemblea di classe degli studenti – e la libertà di insegnamento e di coscienza in materia religiosa, intesa anche come libertà negativa, che va assicurata ad ogni docente.
In sostanza si tratta di stabilire se la determinazione del dirigente scolastico si ponga in contrasto con il principio della libertà di insegnamento del docente dissenziente che desideri fare lezione senza sentirsi oppresso dalla matrice religiosa impressa nel simbolo affisso alla parete, violando in tal modo il divieto di discriminazione su base religiosa.
La questione sorge a seguito dell’applicazione da parte dell’istituto scolastico di una sanzione disciplinare al docente di lettere per avere, quest’ultimo, sistematicamente rimosso il crocifisso dalla parete dell’aula prima di cominciare le relative lezioni, per poi ricollocarlo al suo posto al termine delle stesse.
L’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche non è prevista da alcuna disposizione di rango legislativo, ma è affidata a un quadro normativo fragile, sia per il grado non primario della fonte che detta esposizione contempla, sia, soprattutto, per l’epoca pre-costituzionale della emanazione della relativa disciplina, un’epoca segnata, tra l’altro, da un confessionalismo di Stato e da una struttura fortemente accentrata e autoritaria dello Stato stesso.
L’esposizione del crocifisso, difatti, è prevista da regolamenti che includono il crocifisso fra gli arredi scolastici: si tratta del R.D. 30 aprile 1924, n. 965, art. 118, e del R.D. 26 aprile 1928, n. 1297, art. 119 (e della tabella C allo stesso allegata), rispettivamente per le scuole medie ed elementari. Il citato R.D. n. 965 del 1924, art. 118 – inserito nel capo XII relativo ai locali e all’arredamento scolastico – dispone che ogni istituto di istruzione media “ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del Crocifisso e il ritratto del Re”; il R.D. n. 1297 del 1928, art. 119, a sua volta, stabilisce che gli arredi delle varie classi scolastiche sono elencati nella tabella C, allegata allo stesso regolamento, e tale elencazione include il crocifisso per ciascuna classe elementare.
Il Collegio delle Sezioni Unite ritiene, seguendo il pubblico ministero, che la norma regolamentare contenuta nel R.D. n. 965 del 1924, art. 118 – la quale, nell’ambito dell’arredamento scolastico, dispone che della immagine del crocifisso siano dotate le aule scolastiche di tutte le scuole medie – si riferisca anche alle scuole superiori.
L’esposizione autoritativa del crocifisso non è più consentita poiché non è compatibile con il principio supremo di laicità dello Stato. L’obbligo di esporre il crocifisso è espressione di una scelta confessionale. La religione cattolica costituiva un fattore di unità della nazione per il fascismo; ma nella democrazia costituzionale l’identificazione dello Stato con una religione non è più consentita.
La Costituzione esclude che “la religione possa considerarsi strumentale rispetto alle finalità dello Stato e viceversa” (Corte Cost., sentenza n. 329 del 1997).
L’ostensione obbligatoria nella scuola pubblica, ex parte principis, del crocifisso, quale che possa essere il significato che individualmente ciascun componente della comunità scolastica ne possa trarre, è quindi incompatibile con la indispensabile distinzione degli ordini dello Stato e delle confessioni.
La presenza obbligatoria del simbolo religioso si traduce in una sorta di identificazione della statualità con uno specifico credo: si comunica e si realizza una identificazione tra Stato e contenuti di fede, così incidendosi su uno degli aspetti più intimi della coscienza.
Il crocifisso di Stato nelle scuole pubbliche entra in conflitto anche con un altro corollario della laicità: l’imparzialità e l’equidistanza che devono essere mantenute dalle pubbliche istituzioni nei confronti di tutte le religioni, indipendentemente da valutazioni di carattere numerico, non essendo più consentita una discriminazione basata sul maggiore o minore numero degli appartenenti all’una o all’altra di esse. Ed entra in conflitto con il pluralismo religioso come aspetto di un più ampio pluralismo dei valori: lo spazio pubblico non può essere occupato da una sola fede religiosa, benché maggioritaria.
La scuola pubblica italiana è un luogo istituzionale, non ha e non può avere un proprio credo da proporre, non ha fedi da difendere. L’ambiente scolastico è sottratto al principio di autorità trascendente. Nella scuola italiana aperta a tutti la Costituzione costituisce la punteggiatura che unisce il piano della memoria con quello del futuro, l’identità personale e sociale con il pluralismo culturale, le istituzioni e le regole della democrazia con l’orizzontalità della solidarietà che si esprime nelle e attraverso le formazioni sociali.
La scuola pubblica è un luogo aperto che favorisce l’inclusione e promuove l’incontro di diverse religioni e convinzioni filosofiche, e dove gli studenti possono acquisire conoscenze sui loro pensieri e sulle loro rispettive tradizioni.
All’esito di tali premesse il Collegio giunge ad affermare che spetta ad ogni singolo istituto regolamentare l’esposizione del crocifisso, poiché soluzione che alla Corte appare coerente con il ruolo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche in base alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, intervenuta con la legge di revisione costituzionale n. 3 del 2001.
I principi di diritto affermati dalla Cassazione sono i seguenti:
- In base alla Costituzione repubblicana, ispirata al principio di laicità dello Stato e alla salvaguardia della libertà religiosa positiva e negativa, non è consentita, nelle aule delle scuole pubbliche, l’affissione obbligatoria, per determinazione dei pubblici poteri, del simbolo religioso del crocifisso.
- Il R.D. n. 965 del 1924, art. 118, che comprende il crocifisso fra gli arredi scolastici, deve essere interpretato in conformità alla Costituzione e alla legislazione che dei principi costituzionali costituisce svolgimento e attuazione, nel senso che la comunità scolastica può decidere di esporre il crocifisso in aula con valutazione che sia frutto del rispetto delle convinzioni di tutti i componenti della medesima comunità, ricercando un “ragionevole accomodamento” tra eventuali posizioni difformi.
- È illegittima la circolare del dirigente scolastico che, nel richiamare tutti i docenti della classe al dovere di rispettare e tutelare la volontà degli studenti, espressa a maggioranza in una assemblea, di vedere esposto il crocifisso nella loro aula, non ricerchi un ragionevole accomodamento con la posizione manifestata dal docente dissenziente.
- L’illegittimità della circolare determina l’invalidità della sanzione disciplinare inflitta al docente dissenziente per avere egli, contravvenendo all’ordine di servizio contenuto nella circolare, rimosso il crocifisso dalla parete dell’aula all’inizio delle sue lezioni, per poi ricollocarlo al suo posto alla fine delle medesime.
- Tale circolare, peraltro, non integra una forma di discriminazione a causa della religione nei confronti del docente, e non determina pertanto le conseguenze di natura risarcitoria previste dalla legislazione antidiscriminatoria, perché, recependo la volontà degli studenti in ordine alla presenza del crocifisso, il dirigente scolastico non ha connotato in senso religioso l’esercizio della funzione pubblica di insegnamento, né ha condizionato la libertà di espressione culturale del docente dissenziente.
Trattasi a ben vedere di principi astratti che tuttavia non risolvono l’inconciliabilità di posizioni necessariamente opposte (crocifisso sì, crocifisso no), tentando a parole un “ragionevole accomodamento” che tuttavia, nella concretezza delle scelte che ogni scuola dovrà affrontare, appare già di per sé lesione dell’uno o dell’altro diritto.
Purtroppo questa sentenza da la misura di quanto ancora, nel 2021, il credo confessionale maggioritario di questo Stato condizioni (persino le più alte) istituzioni della magistratura.