Con la recentissima sentenza n. 22126 del 7 febbraio – 13 ottobre 2020 la Corte di Cassazione, sezione III civile, afferma la nullità del patto dissimulato di maggior canone per vizio genetico della causa, anche se il contratto apparente, non registrato, è anteriore all’entrata in vigore della Legge n. 311/2004.
Molteplici sono i temi della materia locatizia affrontati dal Giudice di Legittimità, sia processuali che sostanziali.
Riguardo al profilo processuale, la Cassazione ammette la possibilità di dedurre in appello l’eccezione di novazione del contratto locatizio, senza che con ciò si incorra nella violazione del divieto di ius novorum di cui all’art. 437 c.p.c., così come considera ammissibile eccepire, sempre in sede di gravame, l’accordo simulatorio, trattandosi di una eccezione in senso lato.
Sotto l’aspetto sostanziale, dispone che la simulazione relativa, basata sul canone effettivamente versato rispetto a quello dichiarato nel contratto, possa essere dimostrata esclusivamente tramite controdichiarazioni scritte, non risultando sufficiente la presenza di eventuali ricevute di pagamento. Infine, afferma che la pattuizione (patto dissimulato) di un canone superiore rispetto a quello dichiarato nel contratto (contratto apparente) è affetta da nullità virtuale, anche relativamente a negozi conclusi anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 1 comma 346 della Legge n. 311/2004 (legge finanziaria 2005). Nella pattuizione – e non anche nel contratto apparente –, infatti, si ravvisa il vizio genetico incidente sulla causa dello stesso, rappresentato dalla finalità di elusione fiscale.
La Suprema Corte, pur ritenendo ammissibile l’eccezione sull’accordo simulatorio sollevata in appello dal conduttore resistente, accoglie la doglianza del locatore ricorrente relativa alla prova dell’accordo stesso.
In sintesi il locatore sosteneva che, accanto al contratto scritto non registrato (stipulato nel 2000), sussistesse un accordo coevo e separato in base al quale il canone da versare era pari al doppio di quello dichiarato. Pertanto, v’era una simulazione relativa del contratto scritto limitatamente al canone. In tema di prova della simulazione nei rapporti fra le parti, se il contratto è concluso per iscritto, vale la regola generale per la quale non è ammissibile né la prova per testi, fatte salve le eccezioni (art. 2722 c.c.), né la prova per presunzioni (art. 2729 c. 2 c.c.).
Di conseguenza, in caso di simulazione, assoluta o relativa, la prova del patto coevo può essere data solo producendo controdichiarazioni scritte (cfr. Cass. 471/2003). Il giudice di Legittimità rileva come la Corte d’Appello non abbia applicato tale regola di giudizio, posto che ha desunto la prova della simulazione dal comportamento delle parti, in assenza di controdichiarazioni scritte.
Le ricevute attestanti i pagamenti del canone per l’importo effettivo non costituiscono principio di prova scritta (ai sensi dell’art. 2724 comma 1 n. 1 c.c.); in tema di simulazione del contratto, infatti, il principio di prova scritta, che ammette eccezionalmente il ricorso alla prova testimoniale, deve (ex Cass. 11467/2016; Cass. 24021/1990):
consistere in uno scritto,
provenire dalla persona contro la quale la domanda è rivolta,
essere diverso dalla scrittura le cui risultanze si intendono sovvertire,
contenere un riferimento ad un patto contrastante con il documento.
Nullità insanabile del patto che prevede un canone superiore a quello dichiarato
I giudici ricordano come debba considerarsi nullo il patto occulto con cui i contraenti, in relazione ad un contratto di locazione ad uso non abitativo, abbiano concordato un canone superiore a quello dichiarato. Secondo la giurisprudenza della Corte in funzione nomofilattica (Cass. SS.UU. 23601/2017) una simile pattuizione è insanabilmente nulla a prescindere dalla registrazione.
Nullità virtuale del patto dissimulato di maggior canone per vizio genetico della causa
La pronuncia a Sezioni Unite sopracitata riguardava un contratto concluso nel 2008, quindi, sotto la vigenza dell’art. 1 comma 346 legge 311/2004. Nondimeno, i supremi giudici ritengono che lo stesso principio debba applicarsi anche a contratti di locazione non abitativa stipulati anteriormente all’entrata in vigore della citata disposizione (ante 2005).
L’accordo simulatori, infatti, trova la propria causa concreta nella finalità elusiva, lo scopo è sottrarre al fisco il maggior canone percepito. Il patto, quindi, viola l’obbligo di integrale e fedele registrazione.
L’unico “difetto” di una siffatta soluzione interpretativa risiede nella disparità di trattamento nelle fattispecie ante 2005, ove non vi sia un accordo simulatorio, ma manchi del tutto la registrazione, situazione ultima che non è sanzionata da alcuna nullità. La suddetta non conformità di trattamento può trovare giustificazione nella maggior gravità del vizio che inficia le ipotesi simulatorie rispetto a quelle di omessa dichiarazione. Nel caso oggetto di scrutinio, la circostanza che il contratto simulato non fosse registrato non esclude la nullità del patto dissimulato. Riassumendo, secondo la Cassazione:
il contratto non registrato (contratto apparente) sfugge alla sanzione di nullità (in quanto concluso ante 2005, ossia anteriormente all’entrata in vigore del citato art. 1 comma 346, legge 311/2004),
invece il coevo patto dissimulato di maggior canone è nullo.
Nella pattuizione – e non anche nel contratto apparente – si ravvisa il vizio genetico incidente sulla causa dello stesso, rappresentato dalla finalità di elusione fiscale.