A seguito dell’evoluzione della società che ha portato al calare della figura del matrimonio in favore della convivenza, si è posto il problema di come regolamentare tale modalità di rapporto.
Se col matrimonio i coniugi, in forza di un esplicito obbligo di natura legale, mettevano in comune risorse economiche, redditi, beni di consumo come abitazioni, macchina, ecc… dando vita ad una normale “confusione dei patrimoni”, con la convivenza more uxorio i conviventi assumono molto spesso un comportamento similare che finisce, però, nel non avere una regolamentazione espressa e nel portare in caso di separazione della coppia a pretese restitutorie.
La dottrina e la giurisprudenza hanno affermato che, malgrado non ci sia una vera e propria assunzione di obblighi reciproci, tra la coppia di conviventi sussiste un obbligo di natura morale e sociale a provvedere ai bisogni dell’altro e, comunque, a quelli comuni. L’adempimento di tale dovere non può essere giuridicamente preteso, ma può essere spontaneamente effettuato ed è irripetibile.
Inoltre, proprio in seguito all’evoluzione del ruolo della donna, si può affermare che si è in presenza di obblighi solidaristici bilaterali in quanto gli stessi dovrebbero essere assunti spontaneamente sia da parte dell’uomo nei confronti della donna e sia da parte della stessa nei confronti del suo partner.
In tale prospettiva si assiste sempre più frequentemente alla stesura, da parte di un notaio o di un avvocato, di accordi di convivenza, dei veri e propri contratti la cui causa si fonda sulla reciprocità dei contributi e degli apporti di ciascuno. Oggetto di tali contratti sono la quantificazione degli apporti, la ripartizione tra i conviventi, l’individuazione della modalità di contribuzione, come la messa a disposizione di beni o l’apporto di denaro liquido, la prestazione diretta di cura e di assistenza.
Si tratta, in sintesi, di contratti “programmatici”, che prevedono un vero e proprio programma di vita e durano fino a che dura la convivenza; contengono, spesso, la previsione della clausola di buona fede, a tutela della parte più debole della coppia qualora vi sia un significativo squilibrio; non devono obbligatoriamente essere stipulati per iscritto a pena di nullità, non essendoci ancora una previsione legislativa a riguardo, pur costituendo tale modalità rispetto alla forma orale una maggior certezza.
Si può concludere che oggi, in assenza di un obbligo di stesura per iscritto, gli accordi di convivenza costituiscono un mezzo sicuro di regolamentazione della convivenza e delle domande restitutorie in caso di separazione della coppia, evitando inutili contrasti e ricorsi a vie legali.