Con la recente ordinanza n. 11303/2020, pubblicata lo scorso 12 giugno, la Cassazione coglie l’occasione per ribadire il principio secondo il quale il convivente che, durante la relazione more uxorio, accetta somme sproporzionate e non adeguate alle condizioni della famiglia integra, con la propria condotta, la fattispecie dell’ingiustificato arricchimento.

La vicenda processuale da cui trae origine la pronuncia vede la Corte d’Appello di Torino riformare, in parte, la sentenza di prime cure, condannando un uomo per ingiustificato arricchimento, in favore della donna cui è stato legato per un lungo periodo (oltre 30 anni) e con la quale ha avuto un figlio. Il giudice del gravame, in particolare, aumenta l’importo che il primo dovrà restituire alla seconda, rispetto a quanto stabilito dalla sentenza di primo grado, di ulteriori 95.000,00 Euro, condannando altresì l’uomo al pagamento della metà delle spese di lite.

L’ex convivente condannato ricorre allora in Cassazione.

Tuttavia, con la predetta ordinanza n. 11303/2020, gli Ermellini rigettano tutti i motivi del ricorso, affermando in particolare che la Corte d’Appello ha appurato come gli importi elargiti dalla ex convivente al ricorrente superassero i cento milioni delle vecchie lire, per cui, nel ritenere integrata la fattispecie dell’ingiustificato arricchimento, essa non ha fatto che seguire il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui: “L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa (…). È, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza“.