La Corte d’Appello di Milano (con la Sentenza 527 08.02.2017) ribadisce il principio (peraltro già noto nell’ambito del variegato panorama giurisprudenziale sul punto) secondo il quale non tutte le irregolarità della sede stradale (o pedonale) per avvallamenti o rilievi sono tali da configurare una responsabilità dell’ente proprietario qualora un utente abbia a subire un danno (si pensi al classico caso da caduta per asserita presenza della buca o sconnessione del marciapiede).
La Corte Meneghina infatti giunge alla conclusione secondo la quale l’evento dannoso “da caduta accidentale”debba ascriversi allo stesso utente qualora possa valutarsi che la sua condotta non accorta sia stata la causa esclusiva dell’occorso.
Elementi oggettivi della predetta (disattenta) condotta possono essere proprio la ampiezza della buca e dunque la sua visibilità ed avvistabilità in presenza di luce diurna (o di illuminazione artificiale); ciò consentirebbe infatti di poter affermare la non pericolosità o insidiosità della cosa ove l’utente medio della strada adotti l’ordinaria diligenza del caso.
Perché infatti il proprietario-custode del bene (strada o marciapiede che sia) possa essere condannato occorre che venga preventivamente accertata la situazione di pericolo occulto (vale a dire la sua imprevedibilità ed inevitabilità oggettiva).
Viene dunque richiamato il principio (già espresso anche dalla Suprema Corte, Sent. 287.2015) secondo il quale è lecito attendersi dal fruitore del bene pubblico un obbligo di diligenza generale al quale deve uniformarsi la sua condotta; se dunque l’insidia risulta avvistabile (si pensi al pedone che poggia il piede in una buca di grandi dimensioni) si dovrà presumere che l’evento sia correlato alla sua colpevole distrazione e non tanto alla pericolosità del bene (strada o marciapiede). Secondo la Corte milanese tale principio resta invariato sia che venga invocata (a carico dell’Ente) una responsabilità ex. art. 2043 cc sia quella ex. art. 2051 c.c.