Ha suscitato vivo interesse una recente Sentenza della Corte di Cassazione (n.17183.2020) che ha inteso rivisitare o meglio aggiornare quella che dovrebbe essere la reale funzione dell’assegno per il contributo al mantenimento dei figli.
Secondo questo nuovo orientamento, un figlio, terminato il ciclo di studi (quale esso sia), ha il dovere di trovarsi un lavoro e rendersi autonomo senza coltivare velleità incompatibili con il mutato mercato del lavoro.
Questo perché l’assegno di mantenimento ha una funzione educativa e non deve essere inteso come una assicurazione. Il figlio deve dunque attivarsi per cercare un lavoro qualunque in attesa di un impiego più aderente alle sue ambizioni posto che non si può invece pretendere “che a qualsiasi lavoro si adatti soltanto, in sua vece, il genitore”.
Secondo la Corte serve dunque voltar pagina e passare così dal principio del “diritto ad ogni possibile diritto” al concetto di dovere. Dal mero assistenzialismo alla autoresponsabilità: ciò è reso necessario dalla evoluzione sociale che non consente più di concepire il fatto che alla età di trenta anni (salvo la esistenza di problemi di salute ecc), un soggetto non abbia raggiunto la indipendenza economica. Si annunciano dunque tempi duri per i cosiddetti “bamboccioni”.