La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 3661/2020 (emessa il 13 febbraio scorso), ribadisce l’irrilevanza del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella quantificazione dell’assegno divorzile, evidenziando al contempo il dovere per l’ex coniuge di sfruttare la propria capacità lavorativa, cercando attivamente un’occupazione (“La solidarietà post coniugale, presupposto dell’assegno divorzile, si fonda sui principi di autodeterminazione e autoresponsabilità e pertanto l’ex coniuge è chiamato a valorizzare con una condotta attiva tutte le sue potenzialità professionali e reddituali, piuttosto che tenere un comportamento deresponsabilizzante, limitandosi ad aspettare opportunità di lavoro e gravando sul coniuge più abbiente.”).

Il caso

Dopo il primo vaglio del Giudice del Tribunale di Roma, che aveva riconosciuto all’ex coniuge debole un assegno divorzile di 4.000,00 Euro, in appello l’importo del contributo medesimo veniva ridotto a 1.500,00 Euro mensili, in considerazione delle nuove circostanze.

L’avente diritto all’assegno ricorre in Cassazione con diversi motivi di impugnazione, che il Giudice di Legittimità puntualmente respinge.

In primis, la Cassazione conferma che i principi di cui i giudici di merito non avrebbero fatto corretta applicazione secondo la ricorrente, non corrispondono alla più recente giurisprudenza della Corte.

L’assegno divorzile non deve più consentire all’avente diritto di mantenere lo stesso tenore di vita di cui godeva in costanza di matrimonio.

Il giudice, nello stabilire se e in quale misura deve essere riconosciuto l’assegno divorzile richiesto, una volta comparate le condizioni economico-patrimoniali delle parti e se riscontra l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, deve verificare se la sperequazione sia la conseguenza del contributo fornito dal richiedente alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età dello stesso e alla durata del matrimonio.

La quantificazione dell’assegno dovrà essere effettuata in modo da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato a un simile contributo.

Quanto al tema della capacità lavorativa e la mancata attivazione per la ricerca di un’occupazione fin dal momento della separazione, la Corte ha specificato che non rilevano le occasioni concrete di ottenere un lavoro, ma è sufficiente la capacità di procurarsi i propri mezzi di sostentamento e le potenzialità professionali e reddituali.

L’ex coniuge è chiamato, dopo lo scioglimento del matrimonio, a valorizzare tutte le proprie potenzialità con una condotta attiva e non assumendo un “atteggiamento deresponsabilizzante e attendista, di chi si limiti ad aspettare opportunità di lavoro riversando sul coniuge più abbiente l’esito della fine della vita matrimoniale”.