Sia il contratto di appalto sia il contratto d’opera risultano affetti da nullità allorquando i lavori eseguiti sono abusivi.

L’azione di ingiustificato arricchimento è ammissibile anche quando non è possibile proporre l’azione contrattuale per nullità del contratto .

Al fine di quantificare l’indennizzo dovuto , al corrispettivo dovuto all’impresa per lavori eseguiti deve essere sottratto il cosiddetto utile di impresa.

Corte Appello Napoli , 8 novembre 2010

La sentenza in questione conferma un già noto orientamento secondo il quale nell’ipotesi di opere realizzate in assenza della prescritta concessione edilizia , il relativo contratto di appalto (o contratto d’opera) sarebbe nullo per illiceità dell’oggetto .

Si pone a questo punto il problema delle azioni esperibili, a sua tutela, dall’appaltatore che comunque ben difficilmente potrà vedersi corrispondere l’importo pattuito per le opere in questione.

L’esecutore delle dette opere , dunque, dovrà proporre azione per arricchimento senza causa ( ex. art. 2041 c.c.) : tale iniziativa non trova peraltro ostacolo nel fatto che ( a causa della nullità del titolo che ne costituirebbe il fondamento) non sia proponibile l’azione contrattuale.

Secondo la Corte partenopea per poter monetizzare l’obbligazione restitutoria in capo alla committenza ( soggetto arricchito) deve farsi riferimento al minor valore tra il lucro conseguito e la perdita subita.

Non è dunque l’intero arricchimento del committente cui occorre farsi riferimento ma solo il pregiudizio subito dall’appaltatore.

Per determinare lo stesso il giudicante ritiene di dover sottrarre al corrispettivo ( originariamente pattuito tra le parti) il cosiddetto utile di impresa che , in base ai dati ricavabili dalla comune esperienza , ammonta al 30% della somma complessiva.