All’ostetrica che, per il proprio operato durante il travaglio, provoca la morte del feto è ascrivibile il reato di omicidio colposo e non di aborto colposo.

Il feto nascente è una persona.

I reati di omicidio e infanticidio tutelano lo stesso bene giuridico: la vita umana nella sua interezza.

Questi sono i principi affermati dalla Corte di Cassazione IV sez. penale con la sentenza n. 27539 del 20.06.2019, tramite cui il Giudice di Legittimità ha confermato la condanna, a nove mesi con pena sospesa, per omicidio colposo a carico dell’ostetrica colpevole di non aver monitorato attentamente il battito cardiaco del feto e di aver somministrato alla madre l’ossitocina per aumentare le contrazioni.

La pronuncia tiene conto dell’evoluzione della legge e della giurisprudenza in materia, anche sovranazionale, nell’ottica di un «totale ampliamento della tutela dei diritti della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro e al concepito si è poi estesa fino all’embrione» e pertanto al feto sebbene ancora nell’utero.

I giudici focalizzano l’attenzione sull’articolo 578 del codice penale che punisce per omicidio la madre che «cagiona la morte del figlio, immediatamente dopo il parto o del feto durante il parto».

Una mancata distinzione non casuale, in linea con l’intento già espresso dal legislatore di riconoscere al feto qualità di uomo.

Per la Cassazione non deve confondere l’utilizzo, nella lettera della norma, del termine feto: difatti è usato impropriamente «perché il nascente vivo non è più feto né in senso biologico né in senso giuridico, bensì una persona».

La logica conclusione è che se «in un parto, naturalmente o provocatamente immaturo», il nascente è «un essere vivo, la sua uccisione volontaria costituisce omicidio o feticidio, qualunque sia stata la durata della gestazione».

Prima di questo momento-limite «la vita del prodotto del concepimento è tutelata da un altro reato: il procurato aborto».

Su tali presupposti cade la tesi della difesa che tendeva alla più mite condanna per aborto colposo.

Per i giudici a rilevare è anche la condotta della ostetrica che, malgrado la difficile situazione, rassicurava il ginecologo comunicando lui che tutto procedeva regolarmente, ignorando i segnali di sofferenza del bambino; diversamente, operando le manovre corrette, i sanitari avrebbero evitato che il bimbo nascesse già morto per asfissia. Per la Suprema Corte «la tutela della vita non può soffrire lacune». La protezione comprende pertanto anche il tempo del passaggio dal grembo materno alla vita extrauterina.