Il lobbismo è un’espressione con cui si definisce l’attività di rappresentanza svolta da professionisti esperti in settori di public governante. Essa trova diversi gradi di riconoscimento normativo nel panorama europeo e internazionale, ma è negli Stati Uniti che viene maggiormente definita. Infatti, in America i lobbisti sono il trait d’union tra i congressisti e i grandi gruppi aziendali. Tant’è che la recente riforma ivi avvenuta del sistema sanitario, ha visto un forte coinvolgimento delle imprese assicuratrici del settore, con una spesa complessiva per gli onorari dei lobbisti di oltre 400 milioni di dollari. Sul punto occorre evidenziare che l’amministrazione Obama ha saputo produrre una modifica sostanziale nell’assistenza sanitaria, ma la suddetta riforma avrebbe potuto essere ben più incisiva se il cartello delle imprese assicuratrici non avesse fatto pressioni sul Congresso.
Condizioni per molti versi analoghe a quelle degli Stati Uniti si verificano in Europa. La Commissione europea, in particolare, coinvolge un numero elevato di lobbisti nella fase dell’elaborazione delle politiche decisionali. Siamo dunque di fronte ad un canale parallelo spesso sovrapposto a quello costituito dalle rappresentanze politiche dei singoli Stati. Detto fenomeno è di tale portata e rilevanza che recentemente la C.E. ha istituito un Libro verde sulla trasparenza nelle attività di lobbying con un apposito registro per i rappresentanti di interessi.
In altri paesi come in Italia ad esempio, il fenomeno è presente, ma sfugge alla regolazione degli organi di governo nazionale. Infatti,i lobbisti operano in assenza di precise condizioni e tutela giuridica.
L’editoriale di Le Monde Diplomatique mette in luce alcuni aspetti sui quali ci si può soffermare:
1. Il primo e più importante aspetto controverso è relativo alla natura degli interessi rappresentati. Il fatto di maggiore evidenza è che maggiori sono le risorse economiche messe in campo dai portatori di interesse, più elevate diventano le possibilità di influenzare le politiche pubbliche e ciò impedisce al tempo stesso un’analisi paritetica delle esigenze della società civile da parte degli organi di governo. Un esempio è quello delle grandi banche americane, infatti, la manovra economica statunitense non ha calato la scure sul sistema bancario in ragione del forte pressing esercitato dai lobbisti pagati dalle stesse.
2. La sovra-esposizione o la sotto-esposizione di alcuni interessi si ripercuote sulle politiche decisionali dei governi. Infatti, queste ultime riflettono non più un sistema democratico in cui ciascun interesse riceve un peso proporzionale alla propria importanza, ma un sistema clientelare influenzato dall’interesse di pochi: quelli economicamente più rilevanti.
3. C’è poi da chiedersi il lobbismo, è di per se un fenomeno positivo o negativo? Riflette o meno l’incapacità di un sistema politico di ascoltare la voce della società civile? La risposta è che i grandi sistemi democratici non possono, per ragioni oggettive, far fronte alle esigenze di tutti i cittadini. La questione non sta, allora, nella presenza di intermediari tra questi ultimi e il sistema politico. Si tratta, semmai, di garantire a tutti un intermediario in grado di rappresentare tutti nel dibattito politico.
4. Quarto: quali alternative esistono al lobbismo? Un punto di partenza sicuramente sarebbe un sistema decisionale decentrato con vari centri di potere; a patto che ciò non conduca ad un sistema frammentario. Pertanto é importante anche non perdere il contatto diretto con i cittadini, garantendo agli stessi, come portatori qualificati di interessi, la possibilità di esprimere una loro opinione.
A conti fatti, non è il “rappresentante” professionale di interessi il problema, poiché il lobbista nasce e trova ragione d’essere in un sistema politico che si allontana dalla base elettorale. Dunque, pare doverosa e necessaria una migliore e più dettagliata regolamentazione della categoria, delle condizioni di accesso, delle modalità di rappresentanza, degli onorari, dei requisiti professionali. Il tutto allo scopo, ovviamente, non di impedire ad altri portatori di interessi (si pensi alle organizzazioni non governative) di accedere alle procedure decisionali; al contrario, di determinare criteri più accorti a presidio della categoria (sia nei casi in cui questa è riconosciuta, sia in quelli in cui non trova ancora formale riconoscimento).
Ciò, infatti, a nostro parere costituisce la chiave per la garanzia di democraticità dei processi decisionali a questi livelli.