Come tutte le nuove tecnologie che sono preannunciate con le fanfare dei cambiamenti epocali, delle rivoluzioni che impatteranno la vita dell’umanità intera e dei sinoli nella loro quotidianità, è inevitabile assistere alle “montagne russe” che fanno seguire le onde dell’entusiasmo infinito ed incondizionato a rilievi e proclami di fallimenti altrettanto iperbolici.

La validità e, come si dice “in gergo” la “adoption rate” delle innovazioni tecnologiche da parte del mercato dipende da una variabile complessa di fattori che rendono sospetto, e poco credibile, ogni prognosi “assolutista” tanto a favore del successo come del fallimento inevitabile.

Nel susseguirsi di opinioni, previsioni, proclami, dibatti di esperti, veri o falsi che siano, emergono dati delle realtà economica che aiutano a chiarire il panorama.

La prima vittoria messa a segno da Hermes contro l’artista De Rotschild, creatore della prima “meta Birkin”, il primo NFT “ispirato” alla iconica borsa della casa francese, apre uno squarcio non solo sulle tematiche relative alla protezione dei beni intangibili nel nuovo “meta-ambiente” economico ma anche, se vogliamo riconoscere ad uno dei più grandi brand del lusso una qualche capacità di visone strategica, il ruolo imprescindibile che il metaverse avrà per l’economia “classica”, quella fatta di prodotti che per quanto valorizzati come “signifier”, come espressioni di valenza semiotica, sono, ancora, “fatti” di materiali ben tangibili e non da concatenazioni di dati messi in sequenze uniche ed irripetibili (e non alterabili).

L’odierno editoriale di Vogue Business, “Hermès wins case against Metabirkins over digital NFTs, Rothschild to appeal”, riporta una dichiarazione della “maison” che qualifica il metaverse come “il futuro del lusso”, così fondamentale e cruciale da legittimare una spesa di oltre 150 mila dollari per la sola assunzione di una “expert opinion”  volta, nel caso specifico, a rendere chiara ed incontrovertibile la relazione tra il successo commerciale dell’iniziativa artistica, almeno nelle intenzioni del creatore De Rothschild, ed il valore del brand.

Dal momento in cui Hermes ha chiarito al pubblico che l’iniziativa tecnologica non era, in alcun modo, collegata al brand francese, le vendite dell’“artefatto digitale” sono crollate.

Questo rende ben chiaro ed indubitabile anche l’esatto contrario: la creazione digitale ha una importanza vitale per la “brand equity” di un grande player come Hermes che, infatti, ha motivato la propria inflessibile reazione nei confronti dell’artista proprio per l’importanza che attribuisce ad un attento presidio di questo nuovo “mondo parallelo” che presto, almeno per la creazione di “Goodwill” commerciale, sarà cosi connesso con quello reale da costituire una unica realtà.

Fare prognosi coi toni dell’assoluto è sempre un esercizio rischioso ma, a quanto pare, difficile da resistere per l’eco mediatica che riesce a generare.

La presa di posizione di uno dei più grandi player del lusso globale e le motivazioni sottostanti alla strategia giudiziale, ci riportano ad una più concreta visione delle cose che ci porta a dire che, con tutte gli imprevisti e le variabili insite nella “adoption” di una nuova tecnologia, il futuro è, comunque già ben tracciato. Indietro non si torna.