Scrivo questo redazionale a fronte delle innumerevoli richieste di spiegazioni ed approfondimento, oltre che insulti gratuiti, ricevuti dopo la pubblicazione di un altro articolo ad inizio di giugno in cui facevo menzione di un particolare contratto di lavoro a tempo indeterminato che tuttavia non esiste ancora e pertanto non può essere utilizzato o implementato in ottica di ristrutturazioni aziendali. Faccio presente che la maggior parte degli apprezzamenti è arrivata proprio da lavoratori dipendenti o potenziali tali che hanno dimostrato sensibilità verso i temi affrontati nell’articolo in questione. Le accuse e le offese avevano la firma invece o di giovani sindacalisti rampanti oppure di esponenti e militanti di movimenti e correnti politiche riconducibili alla sinistra estrema. Nella maggior parte dei commenti ho notato che non è stata compresa né l’essenza di questo contratto e né la sua finalità. Pertanto, partiamo nell’ordine e vediamo di fornire ulteriori approfondimenti.  Ho denominato questo tipo di contratto, che ripeto al momento non è previsto dal nostro ordinamento giuslavoristico, con l’acronimo di R.U.DA.L. ovvero contratto di lavoro a tempo indeterminato con facoltà di risoluzione unilaterale da parte del datore di lavoro

L’essenza di questo contratto è riconducibile alla sua finalità genetica ovvero consentire a chi vuole assumere a tempo indeterminato la possibilità di farlo garantendogli l’opzione di risolvere il rapporto di lavoro senza incorrere in vertenze sindacali, cause di lavoro per ingiusto licenziamento o peggio condanne al reintegro delle maestranze. I sindacati, nelle economie avanzate, storicamente sono nati per difendere i lavoratori dipendenti dalle condizioni vessatorie ed i dictat dei padroni, ma stiamo parlando di epoche temporali del passato che non hanno quasi più niente in comune con i giorni nostri. In vero oggi possiamo dire che la situazione si è completamente ribaltata, il lavoratore dipendente (soprattutto nel settore pubblico) è oggetto di protezione e tutela, al di là di ogni ragionevole dubbio. Con questo non voglio assolutamente far passare il messaggio che chi lavora a tempo indeterminato non debba essere protetto, tuttavia questa protezione deve essere commisurata alle opportunità ed ai benefici che possono essere trovati in paesi a noi concorrenti sul piano della produttività e del costo di lavoro. Continuare a pensare con la mentalità di cinquant’anni fa almeno sul fronte lavorativo non gioverà al paese e soprattutto al mercato del lavoro.

Infatti le conseguenze le vediamo tutti i giorni con la diaspora di imprese che abbandonano il suolo nazionale. Oltre al peso soffocante della burocrazia e la straziante pressione fiscale, il rigido mercato del lavoro italiano con i suoi contratti ultraprotettitivi non fanno altro che spingere chi crea occupazione a chiudere in Italia per trasferirsi in paesi che si dimostrano “business friendly” ovvero accoglienti per l’imprenditore che vuole creare nuova occupazione. Il contratto RUDAL, che volendo potrebbe diventare anche una clausola sui contratti attualmente in essere, consente insindacabilmente al datore di lavoro di interrompere il rapporto di lavoro per qualsiasi motivazione (incompatibilità caratteriale, ripetuto assenteismo, bassa produttività, dismissione di una linea produttiva, obsolescenza del sito produttivo, condotta disdicevole o altre simili) nel rispetto dei tempi di preavviso. A questo punto emerge tutta la peculiarità del RUDAL ossia una diversa ed inversa retribuzione mensile a fronte della tempistica di preavviso. Questo significa che al lavoratore dipendente che accetta il contratto o la clausola RUDAL verrà corrisposto un compenso mensile (salario/stipendio) per la mansione svolta che sarà tanto più elevato quanto minore sarà il tempo di preavviso.

In sintesi estrema chi lavora a tempo indeterminato e accetta la risoluzione contrattuale unilaterale con un tempo di preavviso ristretto (un mese o tre mesi) riceve una retribuzione mensile più elevata di chi non ha la clausola RUDAL o ha più ampi preavvisi temporali (sei, nove, dodici, diciotto mesi). Rimane pacifico che alla comunicazione di cessazione del rapporto non vi è possibilità di ricorrere in giudizio o di richiedere l’intervento dei sindacati. Se si riuscisse a implementare questa novità nel mercato del lavoro italiano, recependola come facoltà tra le parti, le aziende italiane potrebbero diventare molto più snelle, la produttività sul lavoro aumenterebbe, numerose multinazionali vedrebbero con interesse un potenziale insediamento produttivo in Italia, i tribunali sarebbero meno intasati per pretestuose cause di reintegro del lavoro. La clausola RUDAL inoltre dovrebbe essere adottata d’ufficio per tutte le nuove assunzioni nel settore pubblico ancorando la possibile risoluzione del contratto a indicatori di performance sulla qualità e quantità dei servizi erogati ai contribuenti. Purtroppo, la competizione tra le economie avanzate e le caratteristiche della globalizzazione impongono la condivisione dei rischi nelle attività di impresa da parte di tutti i soggetti direttamente coinvolti, tanto l’imprenditore quanto i lavoratori.

Fonte: www.enricobenetazzo.com