Si parta dal presupposto che la cartella esattoriale o qualsiasi altra intimazione al pagamento od atto emesso da Equitalia sia illegittimo (o comunque il contribuente lo ritenga tale): ebbene, il contribuente medesimo ha la facoltà di contestarla/o presentando una semplice istanza in autotutela e, laddove non ottenga risposta nel termine di (ben!) 220 giorni, che decorrono a far data dal deposito dell’istanza stessa, il debito si annulla definitivamente.
Ciò è quanto emerge da una sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che, con tale pronuncia, sebbene di stretta applicazione della legge, farà certo parlare di sé, innescando una mina che, se non tenuta a bada, attraverso la puntualità nelle risposte da parte degli uffici di volta di volta interpellati, rischia di avere effetti deflagranti per tutto il sistema.
Ma andiamo per ordine. Il caso è quello di un imprenditore lombardo destinatario di una serie di cartelle esattoriali fondate su diversi debiti maturati nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. In seguito a regolare istanza presentata nei confronti di Equitalia, quale esattrice di tale debito, all’imprenditore non è mai pervenuto alcun riscontro in merito, pertanto il Giudice Tributario ha annullato le cartelle di pagamento affermando, sostanzialmente, l’esistenza di un diritto all’annullamento del debito tributario per silenzio/assenso operato dall’Agenzia delle Entrate riguardo l’istanza del contribuente (cfr. sentenza n. 5667/40/15 depositata il 23/06/2015, relatore Dott. Chiametti Guido, Presidente Dott. PierCamillo Davigo).
Il fondamento giuridico è in alcune disposizioni della Finanziaria del 2013 – Legge n. 228/2012, art. 1, commi 537 e ss..
Entro novanta giorni dalla notifica di un qualsiasi atto da parte del concessionario della riscossione il contribuente ha la facoltà di opporvisi, così sospendendo la procedura di riscossione, attraverso una semplice istanza in autotutela – i “concessionari per la riscossione sono tenuti a sospendere immediatamente ogni ulteriore iniziativa finalizzata alla riscossione delle somme iscritte a ruolo o affidate, su presentazione di una dichiarazione da parte del debitore…” (cfr. comma 537 dell’art. 1 L.228/2012).
In buona sostanza, a seguito del deposito della dichiarazione, il concessionario è tenuto ad avvisare l’ente competente – ossia l’ufficio da cui trae origine il debito (l’INPS se trattasi di contributi previdenziali, l’Agenzia delle Entrate se il debito è per tributi, gli enti locali in caso di sanzioni amministrative, etc…) – il quale a sua volta dovrà rispondere al contribuente (cfr. comma 539).
È il comma 540 comunque che rende effettiva la tutela nei confronti del contribuente che non ha ricevuto risposta alcuna nei termini suindicati: “trascorso inutilmente il termine di duecentoventi giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore allo stesso concessionario della riscossione, le partite (…) sono annullate di diritto”.
In forza delle predette norme i giudici meneghini, dopo aver constatato il silenzio dell’Agenzia delle Entrate di Milano a suo tempo interpellate, dichiarando, nello specifico, che “Gli atti emessi dall’Ufficio risultano illegittimi per la mancata risposta dell’Agenzia delle Entrate alle istanze di annullamento proposte dal ricorrente. Il contribuente, come evidenziato nel ricorso introduttivo, ha lamentato la mancata risposta dell’ente impositore alle due istanze presentate ai sensi dell’art. 1, commi 537 e seguenti della Legge n. 228/2012” hanno annullato il debito tributario.
Considerato che la Commissione Tributaria Provinciale di Milano si è pronunciata in un caso di mancata risposta dell’ente creditore interpellato in relazione ad un debito di qualche centinaia di migliaia di euro, non può non aversi contezza delle implicazioni che l’applicazione di queste disposizioni può avere in termini sistematici, con gran perdita di entrate (anche legittime, purché contestate) per le casse dell’Erario, come in quelle di altri enti, considerata la frequente noncuranza e disinteresse di certi uffici pubblici, restii a rispondere per tempo (o addirittura del tutto) alle istanze dei cittadini.
Sarà necessaria una inversione di tendenza da parte di tali uffici.
Se ciò avverrà (probabilmente attraverso un processo lento e progressivo) il legislatore avrà avuto il merito di rendere effettivi i principi di buon andamento e trasparenza della p.a. tutelati in Costituzione (art. 97), rendendo l’operato di certi uffici rispondente, ancor prima, ai più generali principi di correttezza e buona fede, in un campo che è, da tempo, terreno di generale incuria e negligenza.
L’auspicio è quello di un nuovo clima di collaborazione tra Fisco e contribuente; diversamente, laddove il sistema non sfrutti le potenzialità e la forza innovatrice delle disposizioni sopracitate, laddove il Fisco perpetui nel “non voler rispondere” (nemmeno al legislatore, alla sua sollecitazione), l’Erario sarà il primo a vacillare finanziariamente.