Un gruppo di rinomati economisti si è radunato a Cambridge per inaugurare l’apertura dell’Istituto per un Nuovo Pensiero Economico presieduto da Gorge Soros.

Il gruppo di economisti si è impegnato in un’opera di “introspezione finanziaria” volta ad identificare le principali cause del dissesto dei mercati finanziari.

Tra le conclusioni scaturite dalla riflessione congiunta di alcune delle menti più elette dell’analisi finanziaria queste sono sicuramente le più importanti: l’inadeguatezza della teoria dei mercati efficienti e quella dell’irrilevanza dei modelli di macroeconomia.

L’idea base della teoria dei mercati efficienti è che il prezzo sia l’indicatore più preciso del valore del bene cui si riferisce.

La validità di tale teoria è, oggi, messa in serio dubbio.

I picchi e gli abissi dei mercati finanziari sono stati causati da una bolla immobiliare. Tale bolla è la conseguenza del fiasco della new economy che, a sua volta, fu preceduta dal quasi fallimento, con rischio di implosione per il sistema finanziario mondiale, del fondo speculativo LTCM, la prima “vetrina” di investimento allestita con modelli matematici complessi.

I principi di macroeconomia sono basati sull’analisi stocastica dinamica della teoria generale dell’equilibrio. La definizione incomprensibile ne tradisce il difetto di base: i grandi sacerdoti dell’analisi macroeconomica hanno parlato solo a se stessi. Tutte le teorie di macroeconomia non hanno mai saputo prevedere il formarsi di bolle speculative tanto meno individuare concrete strategie di azione per contenerne gli effetti negativi una volta scoppiate.

Il minimo comun denominatore della teoria dei mercati efficienti e dell’analisi stocastica è il principio delle “aspettative razionali” che presume che tanto i privati quanto le società realizzino le loro scelte di investimento potendo contare su tutte le informazioni economiche per loro rilevanti.

Se ci si chiede perché una teoria tanto improbabile abbia trovato un successo di “massa” ininterrotto per quasi un ventennio una spiegazione è senza dubbio da ricercare nei vantaggi derivanti dalle implicazioni “conservative” della teoria medesima.

In base a quella teoria non solo infatti i privati e le aziende conoscono, a livello di dati e di successive scelte economiche, quanto i governi ma sono invero anche in grado di anticipare quanto faranno i governi stessi la cui più grande virtù sarà pertanto quella di rimanere il più possibile prevedibili.

La maggior parte delle politiche economiche è inutile così come le interferenze governative sui mercati.

Da tale impostazione dogmatica ne conseguirebbe che non è  sostenibile affermare che chi ha comprato prodotti derivati senza valore lo ha fatto perché conosceva meno di chi quei prodotti vendeva così come non sarebbe sostenibile affermare che gli uomini di Goldman Sachs, realizzando “opera divina” si arricchissero grazie al loro vantaggio di informazione piuttosto che, come i medesimi sostengono, grazie al valore dei loro servizi.

Tali impostazioni ed “assunti” hanno un irresistibile “charme” che sprigiona la sua forza di attrazione ben oltre il “ricco e conservativo”.

Se infatti si fosse ammesso, o si ammettesse apertamente oggi, che sia il privato quanto l’azienda sono prigionieri delle loro conoscenze imperfette e della loro innata irrazionalità, anche economica, sarebbe allora necessario, giocoforza, riconoscere l’incertezza del funzionamento economico a livello macro e la necessità di considerare, nella formulazione di teorie economiche, elementi molto difficilmente teorizzabili quali i cambiamenti culturali e sociali.

I modelli economici allora non potrebbero più, per definizione, essere universali ma necessariamente localizzati e adattati a contesti specifici. Il modello standard e conservativo ha l’apparenza, dal fascino irresistibile, di poter fornire dei modelli di previsione globale basati su pochi presupposti universalmente validi.

Ma, come ben visto, si tratta solo di una apparenza. Gli operatori economici, il singolo tanto quanto l’azienda, cosi come i governi si trovano confrontati con scelte dove le percezioni e le decisioni basate su informazioni parziali costituiscono la regolarità.

Un modello di teoria economia generale pertanto non è non solo teorizzabile ma nemmeno pensabile.

Questa è l’eredità più importante che ci ha lasciato Keynes.