La produzione industriale dell’area asiatica ha già superato il picco del 2008 ma, contrariamente a quanto avveniva due anni fa, il tasso di inflazione non ne ha risentito. La spiegazione è sicuramente da trovarsi nel calo della domanda delle economie occidentali.

Un tasso di inflazione apparentemente calmo è una buona scusa per molte banche centrali asiatiche per non seguire i colleghi di Singapore e Malesia.

Questa politica “comoda” avrà un costo.

A prescindere dal fatto che una ripresa della domanda nelle economie sviluppate potrebbe determinare una rapida impennata nel tasso di inflazione asiatico, rimane vero che un tasso di interesse eccessivamente basso rispetto alla crescita economica è, inevitabilmente, destinato a creare nuove “bolle”.

Al fine di prevenire speculazioni finanziate da tassi bassissimi le autorità centrali asiatiche sono ricorse a politiche di controllo bancario imponendo, ad esempio, maggiori restrizioni alla concessione di prestiti immobiliari.

Tuttavia mentre una maggiore regolamentazione e misure di controllo del rischio delle operazioni di debito, sia esso strutturato o meno, sono, come abbiamo visto tutti, delle misure opportune le stesse non possono comunque considerarsi alternative e sostitutive alla politica monetaria.

Le nuove regolamentazioni possono invero, se non inserite in un sistema di misure di controllo più ampio che sicuramente include anche una politica attiva di gestione dei tassi, rivelarsi strumenti atti ad ulteriormente falsare i mercati.

I nuovi divieti, come la storia recente ci insegna, sono sempre “scavalcati” dalla creatività degli operatori. E’ dunque abbastanza velleitario pensare che le autorità di controllo possano efficacemente imporre dall’alto ed anticipare i mercati. Sarà molto più probabile che le varie authorities si ritrovino a rincorrere i mercati quando le distorsioni e le conseguenti “bolle” si sono già create.

Si pensi al ritardo con il quale le autorità di controllo americano hanno reagito alle nuove e complesse strutturazioni del credito (tramite nuovi prodotti derivati) che hanno permesso alle stesse banche di ridurre le riserve di capitale a fronte di “erogazioni selvagge” nel tristemente noto mercato “sub-prime”.

Inoltre è ormai chiaro che  uno dei, se non il, motivo principale per il formarsi di bolle speculative è rappresentato da tassi di interesse eccessivamente bassi.

Se il costo del denaro è basso gli investitori, spinti dalla ricerca di ritorni interessanti, saranno sempre più inclini a considerare investimenti più rischiosi ed ad escogitare misure creative per aggirare le nuove restrizioni legali (come è successo con il mercato bancario “ombra” e la creazione di veicoli paralleli non sottoposti ad alcun controllo attraverso i quali veniva fatto scorrere il flusso dei prodotti derivati).

Ulteriore effetto collaterale non desiderato di nuove restrizioni regolamentari è quello di rendere il mercato meno trasparente.

La creazione, come le SPV (special pur pose vehicles) o le SIV (special investment vehicles), create dagli istituti bancari per sottrarsi alle restrizioni legali ed ai controlli delle authorities, rendono il mercato, come abbiamo visto, meno trasparente in quanto è più difficile, se non impossibile, qualificare e quantificare il livello di rischio assunto dagli operatori finanziari, con le conseguenti implicazioni di inefficienza e crisi “sistemica” che ne può derivare.

Pertanto, oltre che non poter essere un rimedio alternativo alla politica fiscale, un interventismo di controllo mirato a regimentare, di volta in volta, specifici settori, rischia di “fomentare” comportamenti basati non su scelte economiche di lungo termine, ma basate sul vantaggio di breve periodo che deriva “dall’arbitraggio” normativo e di rendere invisibili tali distorsioni ai “radar” delle autorità di controllo finanziario.

Infine l’interventismo legislativo ad hoc può ben rischiare di falsare i segnali che vengono emessi dai prezzi di mercato.

Un aumento dei prezzi degli immobili può essere “attraente” sia per lo speculatore che per il costruttore che risponderà, normalmente, aumentando l’offerta che, a sua volta, contribuirà ad un contenimento dei prezzi.

Un cambiamento o un intervento “straordinario” nel settore di riferimento, il mercato immobiliare in questo caso, potrebbe invece avere l’effetto di bloccare l’iniziativa del costruttore a causa dell’incertezza normativa creatasi e dalla difficoltà di dare alla medesima un valore economico.

Un aumento del tasso di interesse, di contro, sarebbe molto più facile da analizzare e includere nel ciclo produttivo del costruttore. La conseguenza potrebbe quindi essere opposta all’intento sperato: i costruttori non aumenteranno l’offerta di immobili sul mercato e il denaro circolante sul mercato andrà a “caccia” di quelli esistenti contribuendo, ancora, a farne accrescere il valore.

La dolorosa politica di aumento dei tassi come misura, imprescindibile, per controllare l’inflazione e impedire, o almeno non favorire, il crearsi di bolle speculative e dinamiche economiche distorte basate non sulla strategia di lungo termine ma focalizzate sul guadagno di brevissimo periodo che può nascere dal “dribbling” degli obblighi normativi, non può dunque trovare, anche se duro da ammettere, facili, ma inefficaci, palliativi  volti ad arginare situazioni non strutturali ma contestuali