Il tono e l’incedere sono quelli dei trionfatori, lo sguardo è quello di chi è appena uscito dal campo di battaglia vivo e sa di aver rischiato la morte; le esperienze dure o rompono le coppie o le rafforzano.

La Canceliera Merkel ed il primo ministro greco Papandreou appartengono alla seconda categoria; hanno navigato insieme nel pieno della tempesta e ne sono usciti più forti ed uniti che mai e tutti, anche i mercati, se ne sono accorti ed applaudono e, soprattutto, comprano i titoli del debito pubblico greco.

La calma però dura poco; l’equilibrio della coppia Merkel Papandreou è troppo “severo” per uno dei partners e, si sa, il partner sotto pressione, prima o poi, scoppia.

Schock deflazionario; questo il morbo che rischia di affliggere la penisola ellenica oggi. I mercati, ancora una volta, se ne accorgono e smettono di comprare.

La coppia allora reagisce, si mostra ancora più unita ed intorno a lei fanno quadrato i loro pari; la politica europea condanna il “male” con voce corale.

I mercati non sono più l’espressione di un’intrinseca efficienza economica volta ad eliminare storture inefficienze ed errori ma solo una forza cinica, china a scrutare ed aumentare ogni debolezza e di rottura, non solo dello strano sodalizio nato tra Berlino ed Atene, ma anche delle “famiglie allargate” venute su un poco così, come l’Unione Europea.

Ne sa qualche cosa Sarkozy che in due anni è passato, con cadenza pendolare, da una visione estremistica all’altra a seconda dell’interlocutore.

La disponibilità al sacrificio, la visione politica e sociale di lungo termine, l’unità di intenti per la realizzazione di un bene comune superiore si scontra con il calcolo dell’interesse personale ed egoistico da realizzarsi nel breve periodo.

Il bene ed il male.

La politica ed i mercati che, come in un film, corrono l’uno contro l’altro e chi prima schiaccia il freno, chi prima esita per paura dello scontro, sbanderà e finirà fuori strada.

Ma sono veramente questi i ruoli? I buoni tutti da una parte ed i cattivi tutti dall’altra?

Chi ha iniziato alla speculazione ed ha per primo minato le fondamenta economiche della casa comune europea?

Dall’introduzione dell’Euro i parametri di deficit sono stati violati 43 volte da parte di tutti, indistintamente, gli Stati Membri.

Nel 2005 il predecessore della Merkel, il Cancelire Schroeder, che battezzò la moneta unica come un “feto nato prematuro e malato”, diede inizio a quella pratica dell’eccezione alle limitazioni del deficit, della quale la Germania si rese, poi, campione assoluto.

Ma la cultura del “trucchetto”, dell’eccezione passeggera per accomodare questo o quel Paese, della scusa comoda delle ricerca di una soluzione che, in questo momento e solo questa volta lo promettiamo, andasse a tirare, allungare e modificare a piacimento i dettami dei trattati è stata trasversale e la differenziazione tra i Paesi Membri la si può fare solo “per gradi di intensità”.

Il dato fondamentale è che tutti hanno preso la palla al balzo per trasformare l’unione monetaria in un’unione dell’indebitamento facile dove la parola “comunità” è finita per collimare con la spartizione comune, appunto, dei risultati negativi delle inadempienze dei singoli nell’ottica dello “speriamo che alla fine non tocchi a noi pagare….” che così facilmente si imprigiona di tantissime “comunità”.

Alla prima bugia sull’impegno alla stabilità monetaria ne è seguita immediatamente quella sulla condivisione di una unità di politica economica e fiscale a far da base all’unione monetaria.

Ogni paese ha perseguito nelle proprie, e mai condivise, politiche economiche e fiscali, noncurante delle implicazioni immediate che le medesime potessero avere oltre confine.

Se in Germania si abbassa il costo del credito vi saranno delle conseguenze anche per i pescatori irlandesi; da un lato si è dunque creata una cinghia di trasmissione perfetta delle politiche economiche nazionali e, nello stesso tempo, è stato soffocato il meccanismo di adeguamento automatico tra la salute economica di una data economia nazionale ed il valore della sua valuta.

Si è bloccato lo scivolo sul quale correva la “discesa dolce” della svalutazione che, come sa bene Papandrou, è stato sostituito dall’inevitabile imposizione del regime del rigore e dell’austerità tanto cari, solo adesso e molto meno qualche anno fa, alla sua compagnia di battaglia la Canceliera Merkel.

L’odierna situazione dell’Unione non è però il portato di una propensione all’interpretazione “disinvolta” dei trattati da parte di tutti gli Stati Membri, chi più chi meno, chi prima chi dopo, o della particolare inventiva contabile di alcuni, come le Grecia, che ha contabilizzato anche le entrate delle prostituzione e del gioco d’azzardo per migliorare il proprio PIL, facendoci vedere dunque che le pratiche contabili e la violazione del dovere fondamentale del “commercialista” di stato, ovvero quello di non avere fantasia, è stato violato e travolto da impeti di creatività contabile ai limiti dell’artistico.

Il peccato originale  della moneta unica risiede nel fatto che le sue basi e le vere spinte propulsive che l’hanno fatta nascere, anzitempo, come disse Schroeder, furono politiche e non economiche.

La caduta del muro di Berlino riaccese tutte le angosce francesi di una Germania dominante, regina economica assoluta con una moneta di “bandiera” che sarebbe, ineluttabilmente ed inconcepibilmente per Mitterand, diventata la moneta di riferimento per tutto il vecchio continente.

L’antidoto di Mitterand fu la ripresa dell’idea die J. Delors per un’unione monetaria; idea che già negli anni 80 fu dismessa come semplicemente “malsana” dall’allora governatore della Banca Centrale Tedesca D. Marsch.

Lo scambio tra Mitterand e Khol fu quello che vide la Germania rinunciare al suo Marco in cambio della strada spianata all’unificazione con la garanzia, da parte di Mitterand, di accettare tutte le conditio sine qua che il Canceliere tedesco vedeva come garanzie imprescindibili per passare ad una moneta unica e che, ancora oggi, imprigionano la discendente Merkel difronte al proprio elettorato ed a tutta la Germania in generale.

La condizione base, imprescindibile ed inviolabile voluta da Khol, e sancita all’articolo 125 del Trattato, è quella che prevede il divieto assoluto di salvataggio di uno stato membro; la condizione ancillare è quella che prevede la restrizione del deficit al 5% del PIL.

Questo il meccanismo di Kohl per far entrare nella moneta unica solo tante “Germanie in miniatura”

L’escamotage che ha reso possibile la soluzione politica dell’Euro non ha retto, come c’era da aspettarsi e come fu previsto da molti economisti, primo fra tutti Feldstein, alla prova economica.

La Germania si trova perciò ora a dover decidere se salvare quel mercato unico che le ha permesso di compiere la catarsi da “uomo malato d’Europa” a locomotiva dell’Unione o, invece, sacrificarlo, sull’altare del rigore giuridico del Trattato senza tentare arrampicate sugli specchi di un lessico scivoloso, e patetico, che vuole differenziare tra un Euro-bond ed un “bond-di-stabilità”.

A fare da garante ed a pagare, lo sanno tutti, e lo sa la Merkel, sarebbe comunque la Germania.

Il meglio dei due mondi promesso da Mitterand a Khol non si è dunque realizzato.

Alla Canceliera dunque decidere se dare l’ok per un “avanti tutta” che  prenda formalmente atto di una situazione, di fatto,  già in chiara violazione del Trattato, ma non troppo..o non così tanto perché se ne accorgano proprio tutti, almeno in Germania, o invece imporre un rigoroso dietro-front che ponga il termine ad una politica monetaria a singhiozzo della BCE con le conseguenze del caso perché, come si sa, i mercati guardano i conti e non partecipano si summit.