Fenomeni curiosi, inauditi, si delineano con sempre maggiore frequenza sul panorama giuridico italiano.
La Cassazione si esibisce in slanci creativi che ormai prescindono in maniera integrale dalle disposizioni normative.
Ultima vittima della vitalità distruttrice e creatrice degli Ermellini è l’articolo 95 comma 5 del TUIR.
La querelle giurisprudenziale che si è sviluppata intorno al tema della deducibilità dei compensi degli amministratori, sulla loro congruità e pretesa elusività, viene tranciata con una sciabolata argomentativa che fa emergere la vena (fino ad ora dormiente) Rambesca (da “Rambo”) ed il machismo deciso che evidentemente aleggiava nelle aule di Piazza Cavour in attesa di trovare l’occasione giusta per esprimersi.
La non distinguibilità tra la volontà dell’imprenditore da quella dell’amministratore è ora sancita come dogma assoluto. (Sentenza 18702 del 28/06/10).
Il dettato letterale della norma? Rambo forse si fermava davanti alle carte?! Suvvia.
Il presidente dei commercialisti, Claudio Siciliotti, proclama, dalla pagine di Italia Oggi, l’eutanasia del diritto tributario rilevando come la Corte di Cassazione ormai sia votata esclusivamente a valutare la sostanza ed il dato economico delle operazioni del contribuente piuttosto che tediarsi con l’analisi della legittimità delle norme.
A cosa sia dovuto lo scostamento rispetto al mandato istituzionale della Corte non è dato sapere; ci limitiamo a rilevare che non pare si tratti di una semplice voglia di “qualcosa di nuovo” che, insita nella natura di ogni uomo, potrebbe anche essere “capita”, ma di un vero e proprio nuovo modo di essere.
La nuova “vena” del resto era già stata ben preannunciata dai movimenti laterali in tema di abuso di diritto (si veda nostro precedente: da Capirossi a Briatore il fisco stringe le tenaglie sul contribuente).
Come rilevato dalla nota del consiglio dell’Ordine dei commercialisti di Milano, la creazione di un nuovo presupposto di imponibilità, quello dato per la prima volta da un differenziale negativo consistente nello scarto tra l’indebito vantaggio conseguente all’uso distorto del diritto e quanto sarebbe stato invece imponibile se lo stratagemma privo di valide ragioni economiche non fosse stato posto in essere, sembra essere un assunto del tutto pacifico.
La riserva di legge di cui all’Art. 23 della Costituzione potrebbe essere violata dal nuovo Think Tank che alloggia al palazzaccio? Ancora una volta….Rambo ha tempo per cincischiare sui dettagli costituzionali?
Mentre la Cassazione “innova” distruggendo i professionisti, nello specifico l’associazione Trust in Italia scende in campo per mezzo del suo presidente prof. Lupoi per combattere e mettere al bando proclami di studi legali che “vendono” il trust come elisir di cura per tutti i mali: dalla bancarotta ai creditori che vogliono recuperare quanto gli spetta.
Da un lato l’utilizzo del Trust, strumento valido ed innovativo per la gestione legale di problematiche attuali e complesse, come i passaggi generazionali delle aziende, la protezione vera e legale di patrimoni, viene a gran voce e con ferma decisione “cristallizzato” nel perimetro della più stretta legalità da parte degli operatori privati che puntano dunque ad un recupero della certezza e della correttezza delle soluzioni da proporre ai loro clienti.
Dall’altro il giudice di legittimità, pur di confermare la legalità di percorsi creativi che agevolino la ragion di gettito, non si fa scrupolo a farsi strada tra le norme a forza di colpi di macete.
Se non fossimo in Italia non ci crederebbe nessuno.